I Visconti e gli Sforza

(1250 - 1500)

Alla fine del XIII secolo, Filippone Langosco si fa attore diretto dell’alleanza coi Visconti e coi Torriani di Milano, con il marchese del Monferrato e con Roberto d’Angiò; suo figlio Riccardino si fa signore di Pavia. Nel 1311, i Visconti diventano vicari imperiali con Matteo, che, nel 1315, entra in Pavia e, dopo un feroce combattimento, ha la meglio su Riccardino, che cade mortalmente ferito. La città viene quindi presa dai Visconti, che assumono il titolo di signori perpetui, con Azzone, nel 1330; possono governare da sovrani a pieno titolo e svolgere una politica intesa a rafforzare il loro dominio territoriale. La Lomellina, marca di confine con il pericoloso e potente marchesato del Monferrato, è la prima delle terre viscontee ad essere per così dire “regolata”, sia con vere e proprie conquiste, sia con la concessione di feudi ai nobili più fedeli alla signoria milanese; conseguenza vistosa di questa nuova politica è la fine delle autonomie comunali, peraltro inesistenti in Lomellina, se si eccettua il caso (che non è lomellino ma milanese) di Vigevano.

Le storie milanesi narrano delle numerose guerre combattute sulle terre lomelline. In lotta con Pavia percorrono e saccheggiano queste terre nel 1307 e 1312; è del 1314 uno scontro tra i due schieramenti ad Albonese. Nel 1319 viene eletto podestà di Vigevano Luchino Visconti, che dà inizio alla ricostruzione delle antiche rocche lomelline, alcune delle quali andate distrutte nel corso degli eventi bellici, altre cadute in rovina dopo l’abbandono da parte dei Conti Palatini. Nel 1323 Marco Visconti invade di nuovo la Lomellina, come pure fa nel 1326 il marchese Malaspina, duca di Tortona.

Spente le ultime resistenze pavesi, ha inizio la sistemazione amministrativa-feudale della Lomellina: nel 1355 la terra di Castelnovetto è affidata ai Beccaria; Dorno a Luchino dal Verme (i Dal Verme sono i veri conquistatori e colonizzatori viscontei della Lomellina dopo il passaggio, non del tutto proficuo, di Marco Visconti); Gravellona, già dei Barbavara, è presa nel 1361 dai soldati viscontei; Lomello (riedificata dai Visconti nel 1381) riprende il suo gran posto di antica capitale e nel suo castello, nel 1391, Gian Galeazzo Visconti riceve gli ambasciatori francesi di Carlo VI; Palestro, già dei Langosco, è assegnata nel 1335 ai Beccaria e a questi l’imperatore Carlo V assegna, nel 1355, la terra di Sant’Angelo; Sartirana, dominio dei conti locali ramificati dai conti di Lomello, è presa nel 1380 da Jacopo Dal Verme; Semiana, che i Langosco tendevano a portare nell’orbita del Monferrato, viene assegnata nel 1399 ai Barbavara, ritornati in auge presso la corte di Milano.

Dal 1348 al 1380 nella valle padana si svolge un grandioso duello tra due grandi signorie: gli Scaligeri di Verona e i Visconti di Milano. Attorno ad essi giostrano, ora alleati, ora nemici il duca di Savoia ed il marchese del Monferrato. Giovanni di Monferrato nel 1369 occupa Garlasco ma, costretto dai Visconti ad abbandonarlo, dà alle fiamme il castello e fa distruggere tutte le opere di fortificazione.

Con Galeazzo II e Bernabò Visconti si riafferma il potere visconteo sulla regione: la Lomellina diventa il luogo preferito per gli svaghi della corte e per l’esercizio dell’attività venatoria, favorita dalla ricchezza di selvaggina che brulica nelle foreste di querce e frassini e che è costituita da cervi, daini, lepri, conigli, cinghiali ed ogni sorta di volatili.

La stabilità e l’unità della Lomellina, conquistate con le armi e con la diplomazia viscontee, vengono messe in pericolo alla morte di Gian Galeazzo, avvenuta nel 1402. Nominalmente assegnata a Filippo Maria, conte di Pavia, in realtà la Lomellina viene conquistata con dura mano dal vero signore di Pavia, Facino Cane: nel 1404 le soldatesche pavesi devastano Albonese, feudo dei Langosco, Cairo, Frascarolo, Mede, Olevano, Pieve. Nella dissoluzione dello stato visconteo fa la sua apparizione in Lomellina anche il marchesato del Monferrato: nel 1404 il marchese Teodoro II prende Castelnovetto e Lomello. Una seconda spedizione di Facino Cane è proprio diretta, nel 1407, contro Lomello e una terza, nel 1409, contro Mortara.

Governato nominalmente dal giovane, crudele tiranno Giovanni Maria Visconti, in realtà, percorsa dalle soldatesche di Jacopo Dal Verme, di Carlo Malatesta e di Facino Cane, il ducato di Milano è in piena anarchia. Il primo accenno di rinnovamento è dato dalla scomparsa di Giovanni Maria, assassinato il 16 maggio 1412 da una congiura di nobili. Rimane unico erede del ducato il pavido Filippo Maria, chiuso in Pavia e quasi prigioniero di Facino Cane; con l’aiuto di questi e del conte di Carmagnola, Filippo Maria, il 16 giugno 1412 entra, acclamato duca, in Milano. Per la Lomellina ricomincia un periodo, tutto sommato tranquillo, di ridistribuzione dei feudi, secondo la più o meno provata fedeltà ai Visconti. Dorno si dà nel 1428 a Filippo Maria, Cozzo pure si mette al ripari del biscione; Langosco nel 1421 è tolto agli omonimi feudatari e data ai Carmagnola; Lomello, ripresa dai Beccaria, si lega a Pavia; Mortara dal 1418 invoca il dominio diretto del duca; Ottobiano è assegnata, nel 1432, ai Porro; Semiana è dal 1436 feudo dei pavesi Del Maino.

La morte di Filippo Maria e la fine della dinastia viscontea (1447) portano qualche turbamento anche in Lomellina; si affacciano i duchi di Savoia e qualche terra è temporaneamente occupata, come Castelnovetto, Sant’Angelo e Semiana; anomalo è il caso di Vigevano che, come libero comune, aderisce all’Aurea Repubblica Ambrosiana, trascinando anche Cilavegna.

La vittoria di Francesco Sforza (11 marzo 1450) segna per Milano e per tutto il ducato l’inizio dell’epoca più felice, più serena, più ricca di opere d’arte; la luce della corte sforzesca si riverbera potentemente anche in Lomellina, ove troviamo, mandati da Milano, uomini di primo piano. La dominazione sforzesca segna il periodo di massimo splendore per la nostra terra. Gli Sforza e la loro corte costruiscono e ripristinano numerosi castelli con funzione non solo difensiva ma anche residenziale. L’edilizia urbana ne riceve un impulso notevole e nel volgere di pochi anni molti borghi si sviluppano più di quanto sia avvenuto in un intero millennio. Molte famiglie nobili milanesi scelgono, sull’esempio della corte ducale, di costruirsi una residenza in campagna: sorgono così numerosi palazzi signorili.

Sotto Francesco e Galeazzo Maria Sforza avviene la solita inevitabile ridistribuzione dei feudi, ma l’epoca è tale che ogni feudo diviene una piccola, splendida corte, sempre prescindendo dalla gran dimora di Vigevano, ove vivono e governano i duchi incoronati. Queste nuove infeudazioni comprendono: Alagna, ai Malaspina di Fortunago (1466); Cairo, agli Isimbardi di Milano (1467); Candia, ai Fisorini di Alessandria, poi ai Barbiano di Belgioioso, infine ai Gallarati Scotti, signori di Cozzo (1465); Castellaro dè Giorgi, confermato ai Biraghi (1454); Cozzo, ai Gallarati Scotti (1465); Frascarolo, direttamente agli Sforza; Gropello, ad un Visconti (1470); Lomello, ai Crivelli (1450); Mortara, a Ludovico il Moro, nominato conte di Mortara ancora fanciullo (1467); Ottobiano, prima ai Dè Rossi, poi ai figli di Galeazzo Maria Sforza (1467) i quali lo vendono ai Biraghi (1481) e a questi rimarrà fino all’avvento dei Savoia; Palestro, ai Borromeo (1452); Pieve del Cairo, ai Crotti; Sannazzaro, ai Malaspina (1466); Sartirana, al segretario ducale Cicco Simonetta (1452), poi a Bonifacio Guasco (1494); Semiana, direttamente agli Sforza (1454).

Durante il ducato di Ludovico Maria Sforza detto il Moro (nato nel castello di Vigevano), nuove colture vengono introdotte in Lomellina, in particolare quella del riso, già tentata da Galeazzo Maria attorno al 1470. Grande diffusione ha la coltura del gelso, le cui foglie sono indispensabili per l’allevamento del baco da seta, anch’esso introdotto in età sforzesca. La produzione serica acquista rapidamente importanza, diventando, per quasi quattro secoli, la maggiore fonte economica della zona. Proprio a seguito di questo sviluppo dell’agricoltura vengono costruiti nuovi complessi rurali, le cascine, per i quali si utilizza la classica tipologia “a corte chiusa”.