Carro per animale da tiro Carro per animale da tiro<
Carro per animale da tiro - da “Parona tèra böna” ed. 2007

La cascina

Una piccola cascina a Parona
Una piccola cascina a Parona
foto d’archivio, 1998
La cascina, caratteristico patrimonio rurale, fenomeno complesso e di grande interesse, ma a tutt’oggi scarsamente descritto e valutato nella sua importanza, rappresenta l’emblema di una civiltà, di un’architettura, di un tessuto di insediamenti agricoli tipicamente lombardi. Ha rappresentato, nella nostra civiltà contadina, un piccolo mondo a se’ stante, all’interno del quale pulsava una vita intensa, fatta di fatica e condivisione, di umanità e semplicità.

L’organismo della cascina è saldamente ancorato al territorio ed alla sua storia in virtù di quel legame stretto di mutua dipendenza tra uomo e ambiente che si è spezzato con l’avvento della civiltà industriale. Sono ancora parecchie le cascine presenti in Lomellina, che nella loro attuale configurazione sono il prodotto di lunghe mutazioni economico/sociali e di svariate forme di connubio tra uomo e territorio che si sono succedute nei secoli, dando origine a tipologie differenti di insediamento e di conduzione della terra. Esse sono dunque non solo un bene architettonico di intrinseco valore artistico, ma espressione e documento storico di un modo di vita, dell’ambiente in cui l’uomo ha operato e opera, dell’uso e della gestione del suolo che caratterizzano l’economia di una zona.

La cascina fin dall’origine è un microcosmo ben delimitato, posta generalmente nel perimetro della tenuta agricola, recintato da mura, portici, siepi e staccionate, chiuso alla sera mezz’ora dopo il tramonto e riaperto al mattino al sorgere del sole. Circondata da campi coltivati e da boschi collegati tra loro da stradine e rogge, la cascina era un’oasi di tranquillità. Qui tutto era finalizzato alla coltivazione dei prodotti agricoli e all’allevamento del bestiame, beni fondamentali alla vita dell’uomo, che richiedevano un lavoro ininterrotto.

Il ciclo produttivo delle piante erbacee, cereali, leguminose, ha scandito da sempre la vita di una cascina e di tutto il mondo che attorno ad essa ruotava. Basta una passeggiata per le strade ed i sentieri della campagna lombarda per rivivere emozioni e sentimenti legati a quella cultura, dove tutto dipendeva dal tempo, dal caldo e dal freddo, dal vento e dall’acqua. In un mondo dove il raccolto rappresentava l’unico mezzo di sostentamento per gli uomini e gli animali delle nostre cascine.

L’autosufficienza produttiva nelle cascine è durata secoli: accanto ai contadini lavoravano artigiani addetti alle attrezzature e personale specializzato nella produzione di generi alimentari. Oggi la stalla è stata abbandonata quasi ovunque e non è raro trovare cascine in condizioni di degrado molto avanzato.

La cascina ha normalmente una struttura “a corte chiusa”, quadrilatera; l’ampio spazio interno, quadrato o rettangolare, è il suo cuore ed è normalmente occupato dall’aia, dapprima costruita in terra battuta, poi realizzata con mattoni e più tardi in cemento. La “corte” viene spesso recintata con muri o siepi e dotata di uno o due ingressi chiudibili e sorvegliabili per consentire il controllo sul personale dipendente e per scoraggiare il piccolo furto campestre. Tutti gli edifici avevano un proprio ruolo nel complesso dell’attività aziendale. Nella corte ideale si possono distinguere differenti tipologie costruttive che nel loro insieme costituiscono un “unicum” di efficenza ed armonia.

La disposizione di una tipica cascina lombarda

La casa padronale

La casa padronale è l’edificio più importante della cascina. Spesso si tratta di una costruzione “importante” che fino alla fine del 1400 era a base quadrata con enormi muri perimetrali. Alla base del caseggiato, detto anche torrione, torrazzo, torretta, torrino, c’erano le cantine seminterrate, molto fresche, per la conservazione dei cibi, dei salami, del vino e per la maturazione dei formaggi. La casa padronale nei secoli successivi ebbe meno l’aspetto di casa-forte e più di abitazione, alta tre o quattro piani, con scale interne, finestre piccole con inferriate, soffitti robusti in legno per lo stoccaggio dei cereali e la loro conservazione. Nel settecento la casa padronale aveva assunto la veste di casa di campagna per i mesi estivi. Si differenzia dalle restanti abitazioni bracciantili, oltre che per imponenza edile, anche per la presenza di qualche fregio decorativo che ne accentua la distinzione, ed ha un piano rialzato sopra le altre per far posto anche al granaio.

Le case dei salariati

Le abitazioni dei salariati erano più basse rispetto alla casa padronale, tutte uguali e comprese in un unico corpo di fabbrica, con spazi identici; erano il più delle volte costituite da muri umidi e mal cementati, con pavimenti coperti da mattoni o mattonelle: Il camino era ricavato interamente, o quasi, nello spessore del muro; attorno ad esso, importante fonte di calore, la famiglia prendeva cibo, compiva lavori domestici e trascorreva le ore diurne e serali. Il mobilio era scarno: al piano terreno normalmente un tavolo (taùl), qualche sedia di legno o impagliata (cadréi ad legn o ad lisca), una credenza (cardénsa) e una cassapanca (baĆ¼l); al piano superiore, raggiungibile con una scala interna, un comò (cumò) per la biancheria, un guardaroba per vestiti (armuàl), il letto di ferro (litéra), due comodini (cifön), il lavabo in ferro. Le finestre erano piccole e non avevano vetri e inferriate. La scala, il solaio e il sottotetto erano in legno, e di notte era possibile vedere il cielo attraverso le fessure delle assi e le tegole sconnesse. I servizi igienici erano nell’orto, l’acqua si attingeva al pozzo comune, e comune era il forno messo a disposizione dal padrone affinché tutte le famiglie potessero cuocere il pane una volta alla settimana.

I lavoratori “stagionali”, come le mondine e i tagliariso, abitavano in stanze comuni, divisi per sesso, ed avevano un refettorio anche comune.

Le stalle

Un pollaio
Un pollaio - foto d’archivio, 1999
Le stalle erano lunghi edifici sormontati dai fienili ed erano suddivisi secondo il tipo di animale ospitato. Il fronte delle stalle occupava generalmente metà del perimetro edificato e sopra di esse si allineavano i fienili, protetti dalle intemperie con caratteristiche graticciate di mattoni sfalsati. Oltre agli spazi per le stalle delle mucche, un’area veniva destinata anche alle stalle destinate ai buoi ed ai cavalli e per i locali di servizio. Da questi ne veniva quasi sempre ricavato uno per la il laboratorio del “casaro”, che provvedeva alla lavorazione del latte e alla produzione dei formaggi, che comunque non commercializzava. Accanto, vi trovavano posto le anguste porcilaie, consumatrici degli scarti della lavorazione del latte, ed i pollai (nella foto).

Tutti i prodotti della cascina venivano venduti dal proprietario o dall’affittuario i quali spesso possedevano una bottega in città per la vendita diretta al pubblico dei prodotti della cascina.

I portici

Sorretti da enormi capriate, i portici ospitavano gli attrezzi e le macchine agricole e carri in grande quantità, ma servivano anche da deposito per la paglia, per la legna, e per i foraggi.

L’aia

L’aia era una parte importantissima all’interno della costruzione. Posta in posizione centrale rispetto agli edifici, in zona ben soleggiata e riparata dal vento, l’aia era perfettamente livellata ed era utilizzata per l’essiccazione dei cereali e dei foraggi. Nel periodo estivo era il luogo più frequentato. Sull’aia ci si trovava ancora insieme, uomini, donne e ragazzi, anche fino a notte fonda, per la sgranatura dei legumi e per la spannocchiatura del granoturco, che avveniva a fine settembre.

Sull’aia inoltre si svolgevano le feste: ci si sposava, si festeggiavano le sagre, si ballava. L’aia è rimasto un luogo mitico, nell’immaginario collettivo dei nostri paesi viene spesso citata come un’isola felice.

La chiesetta

Nella cascina non è difficile trovare la chiesetta oppure un semplice campaniletto che scandiva le ore richiamando i contadini dal lavoro dei campi o annunciando la fine della dura giornata di lavoro.

I personaggi della cascina

Fra le figure più significative di coloro che animavano la cascina troviamo il fattore (fatùr), responsabile dell’azienda agricola, il manzolaio (mansulè), che provvedeva ai lavori inerenti la cura del bestiame giovane (manze e manzette), il famiglio (faméi), che gestiva il bestiame da latte, il bifolco (bùrch), destinato al governo dei buoi, il cavallante (cavalänt), addetto alla guida dei cavalli da tiro, i braccianti incaricati del lavoro nei campi ed in certi periodi dell’anno le mondariso (mundìn), che avevano il compito di estirpare le piante nocive dalle coltivazioni di riso.

C’era fra gli abitanti della cascina un forte senso di solidarietà, di adesione al lavoro in comune, di partecipazione alla vita di gruppo.

Sapori di un tempo antico...

Era consuetudine, e quasi un rito, prestare la propria collaborazione in occasione della macellazione del maiale, che avveniva normalmente nei mesi di dicembre o gennaio; ed era una festa collettiva prendere parte alla sera, con parenti ed amici, alla cena, a base esclusivamente di carne suina.

E nei mesi invernali, a lavoro fermo, era piacevole intrattenersi nel tiepido calore delle stalle a chiacchierare, a pregare o ad ascoltare racconti.

Per saperne di più

Consigliamo la lettura della pubblicazione “Cascine - La cultura della terra”,
edito dalla Provincia di Pavia nel 2010

Parte del materiale di questa pagina è stato estratto dalla pubblicazione “Invito a Corte - Tradizioni, Arte, Cultura, Folklore, Prodotti tipici, Enogastronomia nelle Corti rurali Lombarde” (ed. Regione Lombardia).