Segnaletica lungo la Via Francigena Segnaletica lungo la Via Francigena
Segnaletica lungo la Via Francigena - 05/05/2012

La Via Francigena

Mappa della Via Francigena
Mappa della Via Francigena
da Internet
La lunga fase di romanizzazione, cominciata verso la fine del III sec. a.C. determina il progressivo sviluppo del territorio pavese, che subito si qualifica sotto l’aspetto strategico (per approfondimenti vedi qui). L’esigenza di garantire facili accessi alle nuove conquiste spingono l’apparato statale a costruire grandi arterie di attraversamento. Successivamente, con l’avvento del Cristianesimo, le strade non sono battute soltanto dagli eserciti e dai trasportatori di vettovaglie e di salmerie, ma diventano canali di comunicazione per i pellegrini, mutando così gerarchie e modalità d’uso delle strade stesse.

A partire dal IV secolo, infatti, si crea un itinerario per i pochi pellegrini che si recano ad loca sancta (Gerusalemme); dal VII secolo si diffondono i pellegrinaggi ad limina apostolorum (Roma) e dal IX secolo si aggiunge il terzo grande segmento ad limina Sancti Jacobi per i pellegrini diretti a Santiago de Compostela, in Galizia. Proprio nel medioevo la strada ed il viaggio sono grandi protagonisti. In particolare, il rifiorire in Europa della spiritualità che caratterizza la fine del primo e l’inizio del secondo millennio, porta ad un intensificarsi del fenomeno dei pellegrinaggi verso i luoghi santi del mondo cristiano. I pellegrini, secondo il luogo di destinazione, portano con loro una particolare insegna: la croce per Gerusalemme, la chiave per Roma e la conchiglia per Santiago.

Il simbolo della Via Francigena
Il simbolo della
Via Francigena

da Internet
È proprio in questa strettissima connessione tra fenomeno spirituale del pellegrinaggio e sistema delle vie di comunicazione che nasce e si sviluppa, verso l’anno mille, il concetto di “Via Francigena”, cioè la strada che collega Roma ai paesi transalpini. Il suo nome originario è “via di Monte Bardone”, da una deformazione di Mons Langobardum, che si riferisce al tratto appenninico del Passo della Cisa. L’appellativo “Francigena” le viene attribuito durante la successiva dominazione carolingia, e la identifica come strada dei Francigenarum (quelli nati in Francia), o la strada che ha la sua origine in Francia, o ancora la strata Francorum (strada dei Franchi); tuttavia è da notare che lo stesso percorso assume denominazioni diverse anche a pochi chilometri da un luogo all’altro: in Valle d’Aosta troviamo la via publica domini comitis; in diplomi piemontesi è spesso chiamata via francexia o francisca o strata pellerina; nel Piemonmte orientale e in Lomellina strata lombarda, nell’Oltrepò strata regia. Forse la definizione più interessante è strata publica peregrinorum et mercatorum, che meglio descrive la realtà da essa rappresentata, cioè di strada frequentata tanto dai pellegrini quanto da chi si muoveva per ragioni commerciali.

Il tracciato della Via Francigena, percorsa in passato da centinaia di migliaia di pellegrini in viaggio per Roma, è oggi perfettamente identificato anche grazie alle memorie dei grandi “romei” del passato, primo fra tutti Sigerico, Arcivescovo di Canterbury. Costui, nel 990, si reca nella capitale della Cristianità per ricevere dal Papa Giovanni XV il “Pallium”, la veste di lana decorata con il segno della croce, simbolo del potere del vescovo e di un particolare legame con il Pontefice. Impiega probabilmente due mesi per percorrere le mille miglia (circa 1.600 km) tra Canterbury e Roma, dove sosta tre giorni. Durante il ritorno alla sua diocesi tiene un dettagliato diario di viaggio, registrando ottanta tappe (“Submansio de Roma usque ad mare”) che oggi sono i punti nodali del più tradizionale itinerario sulla Via Francigena.

Tuttavia, occorre riconoscere che non è corretto parlare di Via Francigena cercando di ricostruirla immediatamente su un atlante: è possibile affermare che non esiste una “Via Francigena” univoca, ma che piuttosto si tratta di una vera e propria “area di strada”, che tiene conto di diverse possibili varianti, con pari dignità e frequentazione, che il pellegrino o il mercante percorrono nel loro viaggio.

Attraverso la Via Francigena i pellegrini che intraprendono il viaggio verso Roma provenendo dalle nazioni più romanizzate ed evangelizzate, la Francia, l’Inghilterra, la Scozia e la Renania, raggiungono la frontiera italiana presso i valichi del Gran San Bernardo, del Moncenisio e del Monginevro. Nel percorso italiano, la Via Francigena coincide con la strada alpina che scende dal Gran S. Bernardo, tocca St. Rhemy-Aosta e fiancheggia la Dora Baltea fino ad Ivrea, dove volge verso Vercelli toccando Viverone e Santhià. L’altro ramo alpino si snoda dal Monginevro e dal Moncenisio e mira a Torino, per riallacciarsi con la precedente presso Vercelli, da dove, unificata, prosegue direttamente alla volta di Roma entrando proprio in Lomellina.

L'Abbazia di Sant'Albino a Mortara
L’Abbazia di Sant’Albino a Mortara
27/08/2022
Alcuni studi dettagliano molto bene il passaggio della Francigena nel nostro territorio; l’attraversamento del Sesia avviene presso Palestro, ove viene pagato un pedaggio che serve anche per l’attraversamento di Robbio. Di qui prosegue verso Mortara, alle cui porte si trova una sosta obbligata: l’Abbazia carolingia di Sant’Albino . Quindi si dirige verso Tromello e Garlasco per poi volgere in direzione di Pavia, S. Cristina, Bissone, Corte S. Andrea e Piacenza, dove avviene l’attraversamento del Po. La strada prosegue per Fiorenzuola, Chiaravalle, Fidenza, Noceto, Monte Bardone, Berceto, Passo della Cisa, Pontremoli, Sarzana, Pietrasanta, Lucca, Altopascio, S. Genesio, S. Gimignano, Siena, S. Quirico d’Orcia, Abbadia S. Salvatore o Radicofani, Acquapendente, Bolsena, Montefiascone, Viterbo, Sutri, arrivando infine a Roma attraverso l’attuale via di Monte Mario.

Il pellegrino del medioevo di solito procede a piedi o a dorso di mulo o, in caso di personaggi di riguardo, a cavallo; come segni distintivi porta la bisaccia, una piccola borsa di pelle sempre aperta, per ricordare i principi di carità e povertà, ed il bordone, un alto bastone dalla punta metallica, per la difesa dal male e dalle tentazioni del viaggio. Questo modo di viaggiare richiede che le pessime strade di allora siano disseminate di luoghi di ospitalità per l’assistenza a pellegrini e viandanti, soprattutto in corrispondenza di valichi, passi, fiumi, zone paludose: questi possono essere i monasteri o gli “ospedali” (dal latino hospes, ospite). L’ospedale medioevale, simile nell’aspetto ad una chiesa, è in grado di accogliere più persone sotto lo stesso tetto e di garantire loro le necessità essenziali, dal giaciglio, al vitto, all’ufficio divino. Il pellegrino ha diritto all’ospitalità gratuita, ma è uso che i viandanti ricchi facciano cospicui lasciti ed elemosine. Questi luoghi di sosta si allineano lungo le vie maestre, dentro e fuori le porte della città, segnando le traiettorie dei principali e più battuti itinerari. In particolare, per quanto riguarda la Via Francigena, questi ospizi hanno permesso di ristabilire la continuità del tracciato anche nel caso della cancellazione, sul terreno o sulle carte, delle tracce di interi tronchi della via stessa.

Ancora oggi sono rintracciabili sui nostri territori frammenti e memorie di quegli itinerari: non è infatti infrequente rinvenire l’antico itinerario selciato che si svolge in un ambiente di alta suggestione per la presenza di memorie del passato (resti di strutture viarie e di edifici medioevali come ospedali, chiese, ponti). In particolare, alcuni ospedali sono divenuti famosi, come quello di Altopascio, non lontano da Lucca, o quello del Gran S. Bernardo, notissimo per il soccorso ai viandanti dispersi nella neve a mezzo dei cani dell’omonima razza.

Per questa via transitano, portati dagli uomini, segni, emblemi, culture, linguaggi appartenenti ad una comunità più vasta, quella dell'occidente medievale. Attraverso questa strada i pellegrini creano una fitta rete di scambi che facilita la compenetrazione di idee e permea in modo determinante la lingua, le arti figurative, la musica, l’architettura, la cultura, in una parola, la mentalità della società. Ed insieme alle idee che si diramano circolano merci, portate da carovane di asini e muli, tra cui quelle ritenute più preziose sono le reliquie. Avventurieri, uomini in cerca di operazioni redditizie, si attivano a trasportarle da un angolo d’Europa all’altro, perché ritenute necessarie alla consacrazione delle chiese, e perché conferiscono prestigio politico e spirituale a chi le possiede. Con la comparsa dei mercanti e delle loro attività, le città ricominciano ad esistere, il commercio si estende, ed i centri urbani si accrescono di popolazioni e di ricchezza divenendo fari di cultura.

Nel 1300 Bonifacio VIII, con la bolla Antiquorum habet fida relatio, proclama il Giubileo per quell’anno e per i successivi anni centenari, con la concessione di una “pienissima indulgenza” per quel mondo che alle soglie di Roma supplica la benedizione papale. Chiunque fosse riuscito a visitare i corpi dei Santi Apostoli prima della morte sarebbe stato finalmente libero da ogni colpa e paura.

Dal XIV secolo il cristianesimo passionale del medioevo progredisce senza posa verso l’emancipazione laica; uno spirito dell’Europa, dinamico ed esuberante di energia, conduce l’uomo fuori dalla sfera di interessi meramente religiosi. Le città si trasformano in punti d’incrocio dove si scambiano merci, valute, modi di vivere e di pensare dei più lontani paesi.

L’Europa nasce da queste vie e da questi incontri e la via Francigena rappresenta una testimonianza dell’antica radice dell'identità culturale europea.

Pellegrini del medioevo

Numerose sono le testimonianze di monaci, pellegrini, mercanti e personaggi illustri che transitarono in territorio pavese seguendo questa direttrice. Il primo è, appunto, Sigerico vescovo di Canterbury, che nel manoscritto del 990 conservato oggi alla British Library di Londra elenca, fra le submansiones (tappe) del suo viaggio di ritorno, Sce Andrea, Sce Cristine, Pamphica (Pavia), Tremel (Tromello), Vercel, Sce Agatha (Santhià), Everi (Ivrea).

Un secolo e mezzo dopo un monaco islandese del monastero di Dingor, di nome Nikulas di Munkathvera, verso il 1151-1154 compie un viaggio quasi epico, dall’Islanda a Roma alla Terra Santa, passando per Jofor-ey (Ivrea), Frith-Soela (Vercelli), Paphia (Pavia), dove dice che nella chiesa di San Siro c’è il trono degli imperatori. Lo stesso re di Francia Filippo Augusto, nel suo viaggio di ritorno dalla III crociata da Corfù alla Francia, nel 1191, passa per Morters (Mortara), Roable (Robbio) e Werzeas (Vercelli), preferendo poi la vallem de Moriana, cioè il Monginevro, e non il San Bernardo. La medesima scelta viene operata da Matthew Paris, che nel 1253 si reca in Terra Santa partendo da Londra; egli passa dal Munt Senis (Moncenisio), da Novalesa, Susa, Avigliana, Torino, Chivasso, Vercelli, Mortara e Pavia. Anche Tirri e Firri, due giovani letterati protagonisti degli Annales Stadenses auctore Alberto risalenti alla metà del XIII sec., per andare in Terra Santa scelgono il Moncenisio, la piana vercellese passando per Salugri (Saluggia) e Lavur (Livorno Ferraris) e scendono poi verso Papia (Pavia).

Le chansons de geste

Nell’epoca di Carlo Magno nascono le leggende, che i pellegrini, dopo l’XI secolo, sviluppano lungo la via e nei luoghi di sosta, arricchendole di elementi eroici raccolti su altri cammini; in questo modo fioriscono le “chansons de geste” (romanzi di gesta eroiche). Questi poemi epici, diffusi per piazze e corti dai giullari, costituiscono un’altra fonte importante, anche se non sempre attendibile, per ricostruire gli antichi itinerari. La Chevalerie d’Ogier de Danemarche duecentesca narra le vicende di questo vassallo di Carlomanno, che nel 772 si rifugia presso Desiderio, re dei Longobardi. Tra l’altro si legge: “A Ivrea si scende per mangiare, a Vercelli bisogna cambiare moneta, poi ci s’incammina senza indugio, perso Pavia”. Anche nella Destruction de Rome si parla di cavalieri che da Ivrea, Pavia e Piacenza si dirigono verso Roma.

Strada per gli scambi culturali

Ciò che più conta, aldilà del significato sociale, religioso, economico e politico che una strada come la “Francigena” reca in sé, è il rilevare che essa si è spontaneamente prestata al ruolo di veicolo per la circolazione della cultura. All’intensificarsi dei pellegrinaggi si accompagna l’esplosione del sorgere delle cattedrali. Così, mentre l’arte sacra romanica poco per volta viene abbandonata, dall’XI al XIII secolo il cristianesimo si dispiega, coprendo l’Europa di monasteri, chiese, cattedrali dalle figurazioni più umane, e dove Dio è luce e si celebra con la luce, facendo piovere i raggi di sole da immense vetrate colorate; le chiese gotiche risplendono diventando luoghi di luce, “ponti” luminosi tra l’uomo e Dio. L’idealismo religioso che pervade il medioevo ha un effetto determinante sul miglioramento della produzione artistica, che si esprime soprattutto nella magnificenza delle chiese. Ispirate da nuovo spirito religioso, nelle città e nei luoghi di transito dei pellegrini si slanciano verso il cielo grandi basiliche costruite con soluzioni innovative.

Il territorio pavese pullula di questi riferimenti, ribadendo, se ve ne fosse ancora bisogno, il concetto che la cultura non chiede solo di scoprire misteri o di chiarire intenzioni, ma sente la necessità di muoversi, di vedere, di toccare, di penetrare nella vita quotidiana, di rendersi gradita e utile all’uomo. In tal senso la “Via Francigena” ha interpretato e sorretto con grande sensibilità questo bisogno universale ed è giusto che ancora oggi venga conosciuta e valorizzata nel tracciato ufficializzato dal Consiglio d'Europa.