Quando Roma inizia la penetrazione nell’Italia settentrionale, ha come strumento principale la deduzione di colonie. L’espansione ha uno scopo sia strategico, sia di penetrazione economica e culturale. Le deduzioni coloniali sono accompagnate, oltre che da centuriazioni (cioè da suddivizioni del territorio), dal progressivo perfezionamento ed accrescimento della rete stradale. Nell’89 a.C. (con la “Lex Pompeia de Civitate”) viene estesa alle popolazioni a nord del Po la condizione giuridica della quale godono le città di diritto latino (il cosiddetto ius latii): tutti i centri di un certo rilievo vengono costituiti in colonie (anche se fittizie, cioè senza deduzione di coloni) ed urbanisticamente ristrutturati.
Anche Pavia (Ticinum) diventa forse colonia nell’89 a.C., assumendo gradualmente la fisionomia urbana ancor oggi riconoscibile. Giulio Cesare, nel 49 a.C. (con la “Lex Roscia”), concede agli abitanti delle nuove colonie a nord del Po la piena cittadinanza romana. Cesare, infatti, riversa sulla Cisalpina tutta la sua intraprendenza ed il suo ingegno: a lui si devono anche i piani regolatori delle città, la centuriazione e la bonifica delle campagne e l’ordinamento amministrativo e giuridico. Nel 42 a.C. la Gallia Cisalpina cessa di essere giuridicamente considerata come una provincia e viene definitivamente unita al resto d’Italia. Anche “Ticinum” diventa un “municipium” e viene iscritta alla tribù “Papiria”.
La Lomellina viene completamente romanizzata in modo incruento solo nel 25 a.C., in età augustea, data nella quale facciamo cronologicamente terminare la seconda Età del Ferro, anche se numerosi elementi tendono a sopravvivere ancora all’inizio del I sec. dopo Cristo; in particolare, la Lomellina, conserva, per molto tempo, le proprie tradizioni culturali, soprattutto l’uso celtico dell’incinerazione. Alla fondazione dell’impero romano fanno seguito, per la nostra terra, alcuni secoli di pace e di benessere economico.
Augusto divide tutta l’Italia settentrionale in undici regioni. La Lomellina rientra nella XI Regio Transpadana, con capitale Milano (Mediolanum). Ampiamente dibattuto è stato ed è il problema della avvenuta o meno centuriazione in Lomellina: sono state rilevate tracce di centuriazione solo nelle zone della Lomellina settentrionale. Tuttavia, mentre si riteneva che solo la zona di Cassolnovo fosse stata interessata dal limite inferiore della centuriazione novarese, ora è possibile asserire, con buona probabilità, che tale limite, tra Terdoppio e Ticino, giungesse almeno fino ad una zona a sud di Vigevano, localizzabile poco prima della Sforzesca. Dovrebbe quindi essere spostato a questa linea il confine tra il territorio di “Ticinum”, i cui cittadini, come già detto, sono iscritti alla tribù “Papiria”, e quello di “Novaria”, i cui cittadini sono assegnati alla tribù “Claudia”. Purtroppo non abbiamo alcuna testimonianza epigrafica che attesti ciò.
Sembra tuttavia di poter individuare alcune coincidenze tra i “limites” delle divisioni agrarie e le più antiche vie del territorio. Il pullulare di ritrovamenti archeologici di età romana, non solo lungo i terrazzi fluviali (caratteristica, come abbiamo visto, delle età precedenti) ma su tutto il territorio tra Terdoppio e Ticino, è da collegare alla centuriazione ed a nuovi tracciati viari. Sembrano scorrere lungo il percorso, ad esempio, la strada vecchia di Cilavegna, di Vignazza, la strada tra Mulino del Conte e la Buccelletta, la via Tocca, la strada vicinale del Valer, la strada della Castellana, la strada delle Tre Colombaie, la strada Nuova, la strada di Cascina Cavalli, la strada di San Pietro o vecchia di Parona, la strada di San Marco o vecchia di Mortara e, forse, la strada i Lasagna tra la Sforzesca e Fogliano. Molte attuali cascine insistono sul tracciato della centuriazione. Il cardine in senso verticale di tutto il sistema deve ritenersi la linea naturale di scorrimento, a ponente del Ticino, che proseguiva, da un lato verso la cascina Remondata e la direzione di Milano, dall’altro verso la cascina Borzolo e, poi, la direzione di Mortara-Cozzo. Nei pressi della cascina Borzolo, infatti, sono stati rinvenuti due enormi pozzi romani.
Una carta della Lomellina di allora ci mostra la presenza di strade principali e di centri di notevole importanza. Tre vie consolari, provenienti da Pavia, la attraversano: la Francisca, la Romea e la Settimia. Alla “mutatio” (luogo di avvicendamento logistico di salmerie e deposito di vettovaglie) di Dorno (Durnae), la Settimia si stacca per dirigere al Sempione; alla “mutatio” di Cozzo (Cuttiae), la Romea muove verso il Piccolo San Bernardo e la Francisca prosegue verso il Moncenisio. Lomello (Laumellum), sede di una importante “mansio” (luogo di sosta ed accampamento delle legioni) e Cozzo sono i municipi, cioè i due centri amministrativi della Lomellina; Pulchra Silva è Mortara, Retovium è Robbio.
Probabilmente il territorio è organizzato in alcuni “vici” di una certa grandezza, dotati di medie e grandi proprietà, posti sulle vie di transito (come Gropello Dorno, Valeggio, Lomello, Cozzo, Garlasco, Belcreda, Viginticolumnae, ecc.) ed in numerosi insediamenti minori, riferibili a strutture di appoderamento minuto. I romani lasciano guarnigioni militari in accampamenti semipermanenti, denominati dapprima “emporii”, muniti di fortificazioni e dislocati lungo i tracciati da cui avranno poi origine le maggiori vie di comunicazione, ancor oggi in uso. Tracce di abitazioni importanti sono state rinvenute, per ora, solo a Lomello, Gropello e Garlasco. Dall’età augustea il territorio lomellino diventa anche zona di espansione demografica, sia con lo stanziamento di gruppi veterani (ex soldati che, o acquistano a basso prezzo, o ricevono terre in compenso del servizio militare prestato), sia con l’arrivo di elementi centroitalici immigrati, che danno l’impulso ad attività commerciali e artigianali e che si affiancano alle popolazioni preesistenti. In questo modo, gli empori si rafforzano, dando origine ai meglio organizzati “castra” (accampamenti permanenti).
Proprio ad elementi medioitalici immigrati si deve l’introduzione in Lomellina (relativamente all’età augusteo-tiberiana), della moda di adornare la barella funebre con applicazioni in terracotta. Sulla barella funebre di legno viene posto il cadavere per essere cremato. Le applicazioni in terracotta (testine, bustini, medaglioni a basso rilievo raffiguranti volti umani ritratti di profilo, protomi di animali, ecc.) che vengono ottenuti a stampo da matrici, ornano testate laterali di queste barelle. Queste terracotte non sono diverse per conformazione e per collocazione da quelle decorazioni in metallo lavorato, avorio, ed osso intagliato, che sono applicate su tetti, lettighe o altri mobili come ornamento.
Rimane di primaria importanza l’agricoltura. La fertilità della Cisalpina ci viene più volte ricordata dalle fonti storiche. Polibio dice che la produzione di grano e di vino è così abbondante, che i prezzi di questi generi erano molto inferiori a quelli praticati altrove. Prodotti in quantità straordinaria sono anche orzo, miglio e panico. Sempre secondo questo storico, la frequenza delle foreste e la quantità delle ghiande sono talmente propizie all’allevamento dei suini, che la valle del Po rappresenta la zona di produzione più considerevole di carne suina per la necessità sia dei privati che dell’esercito.
Anche Plinio il Vecchio pone tra i prodotti della Transpadana al primo posto vino e frumento, seguiti dalle rape, favorite dal clima freddo e nebbioso. Abbiamo visto che la Lomellina produceva vino già in età celtica e che, anzi, aveva elaborato un particolare contenitore della bevanda: il vaso a trottola. Questo recipiente in età romana viene sostituito dall’olpe. Famosa è la statuina in terracotta raffigurante un vignaiolo, rinvenuta a Gropello Cairoli in una tomba dell’età augusteo-tiberiana. Tracce di viticci sono state anche trovate entro un’olpe di età augustea a Cassolnovo.
La Lomellina sembra essere stata soprattutto famosa per la linicoltura, favorita dal terreno sabbioso. La “Regio Aliana” (da identificare con la Lomellina), è collocata al terzo posto in Europa per la produzione di lino. Plinio sostiene (clicca qui per la versione originale): “In Germania le donne lavorano il lino in fosse ed in sotterranei. Così accade anche in Italia, nella regione Aliana, tra Po e Ticino”. Un brandello di tessuto di lino è stato rinvenuto ad Ottobiano, in una tomba di età augustea.
Per quanto concerne l’abbigliamento, notizie sul modo di vestire dei Romani ci vengono fornite dall’ampia documentazione delle arti figurative e delle testimonianze scritte. Gli scavi, inoltre, restituiscono in genere una notevole quantità di oggetti in osso, bronzo, vetri e metalli vari relativi all’ornamento della persona, o usati per la toilette e per il trucco. In Lomellina non ci si discosta molto dalle usanze generali del periodo. Il vestito viene modellato sulla figura con cinture e drappeggi. Appare, quindi, chiara l’importanza delle fibule anche in età romana, che, variamente ornate, chiudono e fermano i lembi delle stoffe. Gli uomini indossano in casa la tunica, sopra la quale mettono la toga, anch’essa di lana, ma lunga ed ampia, drappeggiata attorno al corpo. Ovviamente vi sono differenze nei particolari, in relazioni alle classi sociali, alle professioni ed ai mestieri. Ai piedi vengono calzati sandali con suole chiodate: iniziamo a trovare resti di borchie per calzature, in Lomellina, solo a partire dalle tombe di età augustea.
Da una testimonianza letteraria, sappiamo che questa è, invece, la situazione dei vestiti per gli schiavi: “Una tunica di tre piedi e mezzo ed un saio ogni due anni. Ogni volta che assegni ad uno la tunica od il saio, prima ritira quelli usati, per confezionare con essi i centoni (cioè vestiti fatti di pezze). Conviene dare ogni due anni un buon paio di zoccoli”. Le donne indossano la stola, una lunga tunica. Sopra questa, per uscire, indossano la palla, una specie di toga di colore vivace, con un lembo della quale si coprono il capo. Le donne ricche amano i profumi, i cosmetici, i gioielli. Nelle tombe lomelline, il corredo femminile comprende collane di pasta vitrea turchese, di ambra, di bronzo, anelli, braccialetti, lo specchio, numerosi balsamari, spatole per l’applicazione di cosmetici, pinzette, ecc. Sono presenti, quindi, anche tutti gli accessori per il trucco. Si dipingono in bianco (con gesso e biacca) sulla fronte e sulle braccia, in rosso (con ocra) sui pomelli e sulle labbre, in nero (con fuligine o con polvere di antimonio) sulle ciglia ed attorno agli occhi. Gli uomini, invece, portano solo anelli: a vera o con castone. Per le acconciature la moda cambia con la stessa rapidità di oggi. Attraverso la piccola coroplastica lomellina, possiamo seguire l’evoluzione delle pettinature femminili: dalle trecce avvolte a cercine sulla fronte (ad imitazione di Livia e di Ottavia), a complicatissimi riccioli ostentati nell’epoca dei Flavi.
La vita giornaliera in Lomellina, per la maggior parte della popolazione, deve essere assai semplice, come si conviene ad un ambiente agricolo-pastorale. Orge e banchetti, descritti nella cronaca scandalosa dell’epoca, si praticano solo in una piccola parte dell’alta società. I commensali mangiano generalmente sdraiati di sbieco, con il gomito sinistro appoggiato ad un cuscino ed i piedi rivolti verso destra. Tengono il piatto con la sinistra e mangiano con le dita. La tovaglia entra in uso nel I sec. dopo Cristo. Il pranzo (cena) importante è suddiviso in tre momenti. Nel primo vengono serviti gli antipasti, durante i quali si beve il “muslum” (bevanda a base di vino e miele). Poi vi è la cena vera e propria, con varie portate. Infine il dessert, che comporta cibi secchi e piccanti, per eccitare la sete: si beve, infatti, in abbondanza. Tra la cena ed il dessert vengono collocate sulla tavola le statuette delle divinità protettrici della casa ed in loro onore si fanno libagioni con vino puro. Nelle abitazioni si provvede all’illuminazione con lucerne in terracotta e in bronzo. Pochi sono generalmente gli oggetti di cui ciascun commensale dispone a tavola: una ciotola larga e bassa, oppure un piatto capiente, il bicchiere o la coppa, non necessariamente in ceramica comune, oltre all’indispensabile cucchiaio.
Tra la ceramica comune sono abbondantemente testimoniati in Lomellina: i tegami, le olle, i mortai, i bicchieri, i vasi per conservare gli alimenti, le olpi, le coppe. Le anfore, invece, sono utilizzate per il trasporto di alimentari: vino, olio, “garum” (salsa di pesce); vngono adoperati anche i servizi da mensa in ceramiche più fini (terra sigillata, a pareti sottili, ceramiche firmate, invetriate, ecc.), in vetro, in metalli anche preziosi (rame, bronzo, argento). La frequenza degli oggetti in vetro, è proprio uno degli aspetti caratteristici dei corredi lomellini, soprattutto femminili, del I sec. d.C. La facilità di approvvigionamento della materia prima (la sabbia bianca) non esclude sul nostro territorio l’esistenza di vetrerie locali.
Nel III secolo si può collocare l’apparizione anche in Lomellina, ed in forma ovviamente clandestina, del Cristianesimo. Con l’editto di Costantino (313), e l’elevazione di Ambrogio a vescovo di Milano (374), anche la pace religiosa viene assicurata. Dopo il grande sviluppo agricolo, economico ed artigianale del I ed in parte del II sec. d.C., comincia, anche in Lomellina, un graduale processo di decadenza.
Gli anni che precedono la caduta dell’Impero Romano (476 d.C.) sono traumatici per la Lomellina, che subisce l’onda d’urto delle invasioni dei barbari, popoli di razza germanica o euroasiatica, di proverbiale malvagità, che invadono e mettono a “ferro e fuoco” la nostra terra. Dapprima i Visigoti di Alarico (401 e 409), poi gli Unni di Attila (452), i Vandali di Genserico (455) e gli Eruli, comandati da Odoacre il quale, nel 476, depone l’ultimo imperatore d’occidente, si fa nominare re e porta la capitale a Pavia.