L’Abbazia di Sant’Albino viene ricostruita dal monaco inglese Albin Alkwin (da cui prende il nome) sul luogo dove, il 12 ottobre 773, si combatte la sanguinosa battaglia con cui i franchi di Carlo Magno sconfiggono i longobardi di Desiderio. Qui Carlo Magno raccoglie i suoi caduti, fra cui i due paladini Amico (Amis de Bayre) ed Amelio (Amelie d’Auvergne), gli eroi franchi più volte ricordati, con il luogo della sepoltura, nei romanzi epici di trovatori e menestrelli medievali. La leggenda vuole che questi due amici, periti nella battaglia e sepolti in due chiese diverse, siano stati ritrovati il giorno successivo nello stesso sepolcro: uniti nella morte così come lo erano stati in vita.
La chiesa e l’annesso complesso abbaziale costituiscono per tutto il medioevo una tappa obbligata lungo il tragitto percorso dai pellegrini in viaggio verso Roma, la cosiddetta “Via Francigena”; questo fatto è documentato dalle iscrizioni ancor oggi visibili lasciate dai viandanti sui mattoni. Una di queste rammenta il transito di un pellegrino nel 1100.
Come possiamo immaginare il paesaggio in quel lontano periodo? Mortara è stretta attorno alle sue mura, le risaie non esistono ancora, perchè introdotte solo nel XV secolo. Bisogna pensare allora a terre paludose e insane, rivestite da folte selve e solo qua e là coltivate dalle prime comunità monastiche, come quella che si stabilisce a Sant’Albino dopo la venuta di Carlo Magno. Alla metà del XVI secolo tutta la zona probabilmente è già bonificata, se si dà credito alle testimonianze di quel periodo, di Bernardo Sacco in particolare, che cita enormi distese di campi a cereali, prati e marcite, nonchè “selve estese ed antiche di grandissime querce”. Un territorio però ancora insicuro, disseminato di pericoli, fra cui temute bande di malfattori, che spesso segnano il destino degli antichi viandanti. È soltanto a partire dal XVIII secolo, con l’intensificazione della rete irrigua, che la coltura del riso si diffonde fino a divenire l’elemento dominante del paesaggio.
L’attuale conformazione architettonica della chiesa risente delle vicissitudini storiche che la vedono coinvolta nel turbolento periodo medievale. Della originaria costruzione rimangono solo le fondamenta. Nella prima metà del Duecento, infatti, ad opera delle milizie comunali milanesi ed abbiatensi, la Chiesa subisce una totale distruzione. Il campanile e l’unica navata della chiesa sono ricostruite quando i furori delle guerre comunali tra milanesi e pavesi hanno termine. L’edificio nel 1400 deve subire poi le violenze di Facino Cane, comandante di un esercito di ventura. Ricostruita nel 1540, nel 1700 viene aggiunto l’elegante portico che corona l’ingresso. La chiesa è ulteriormente danneggiata dalla battaglia che nel 1849 si svolge tra i piemontesi e gli austriaci. All’interno conserva interessanti affreschi del quattrocento, tra cui uno raffigurante San Lorenzo ed uno rappresentante la Vergine con il Bambino .
Oggi, restituita al culto e restaurata, viene considerata il più importante monumento storico di Mortara.