Il nome di Gambolò presenta un’origine abbastanza chiara ed accettata da quasi tutti gli storici;
questo vocabolo appare composto dalle parole latine “Campus” e “atus”, che descrivono la natura pianeggiante del terreno.
Alcuni suggeriscono anche l’interpretazione di “Campus Laevus“, come Campo dei Levi, popolazione stanziata tra Vigevano e Lomello.
Gaudenzio Merula descrive il paese nel suo «De Gallorum Cisalpinorum antiquitate ac origine» del 1592, affermando che si tratta di municipio
antichissimo, prediletto dai nobili come sede venatoria.
Le prime testimonianze della presenza umana nel territorio di Gambolò risalgono al Mesolitico recente (5500-4500 a.C.), e sono state individuate lungo la sponda destra del Terdoppio, in zona Dosso della Guardia. Successivamente, nell’età del Bronzo medio e tardo (2000-1900 a.C.), un significativo villaggio si sviluppa sempre sui dossi del Terdoppio. In seguito, questo territorio conosce un notevole fenomeno insediativo in epoca celtica, in particolar modo dalla seconda metà del III secolo a.C., quando sorgono numerosi villaggi, testimoniati da necropoli (Dosso della Guardia, Belcreda) spesso ricche di corredi significativi.
Con l’epoca romana continua la vita di questi villaggi, arricchiti dagli apporti di conoscenze tecniche e culturali dei coloni romani. Gambolò viene associato ad un campo romano fatto costruire, secondo la tradizione, da Publio Cornelio Scipione all’epoca delle prime vittorie di Annibale, addirittura in data prossima alla battaglia “ad Ticinum” (218 a.C.). Le origini romane vengono confermate da alcune strutture che si sono conservate fino ai giorni nostri: nella forma castrense sono evidenti il “Cardo” e il “Decumanus“, nonché la piazza pressoché centrale (“Forum”), tre delle quattro porte originarie, la circonvallazione esterna ed una parte del fossato. Alcuni ritrovamenti che risalgono alla fine del I sec. a.C. (corredi funebri e are votive reimpiegate nelle murature della chiesa di S. Eusebio) documentano altresì la presenza romana.
Note su Gambolò si ritrovano in carte del X e XI secolo. In particolare, la prima volta che il nome del paese compare nella storia è nel 999, in un documento in cui si dice che un certo “Ademarus de Gambolate” deve risarcire il vescovo di Vercelli Leone dei danni arrecatigli. Il castello viene citato per la prima volta cento anni dopo, nel 1099: la fortezza accoglie al sicuro gli abitanti del villaggio e della campagna circostante. Ma il documento più importante è una bolla del Papa Innocenzo II del 1133 che conferma all’allora vescovo di Novara l’appartenenza di questo territorio alla sua diocesi: il paese viene chiamato “Campus Latus”, che può essere associato alla forma originaria del nome. I documenti, fra il X ed il XIII secolo, rivelano la presenza di numerose chiese, ed in particolare di due pievi: quella di San Pietro, relativa in origine all’abitato, scomparso, di Masovico (attuale zona di San Pietro), di diocesi novarese, e quella di Sant’Eusebio, invece, pavese: curiosa compresenza in un territorio relativamente ristretto. Alcuni indizi, come la dedicazione, la persistenza su zona archeologica, romana e tardo antica, e, per San Pietro, l’estensione del piviere, permettono l’ipotesi che le due pievi siano estremamente antiche, e possano davvero appartenere ai primi secoli della diffusione del Cristianesimo nelle campagne del nord Italia.
Dal basso medioevo il borgo appartiene ai conti di Lomello. Il castello di cui parlano le cronache sorge presumibilmente intorno al secolo XII, con le caratteristiche del receptus medievale: una cortina muraria fortificata e rafforzata da torri intermedie circonda, proteggendole, l’abitazione del signore del luogo e un numero imprecisabile di piccoli edifici minori adibiti ad abitazione di servi e contadini e ad altri servizi indispensabili alla vita della piccola comunità, quali il mulino, il forno, la chiesa e qualche laboratorio artigiano.
Dal punto di vista politico, le fonti rivelano come il paese graviti già dai secoli X e XI nell’orbita pavese, come sembra confermare la piena integrazione sociale a Pavia sia della famiglia notabile detta proprio “Da Gambolò”, e sia di quelli dei “Da Belcreda”. Nell’ambito degli scontri per la supremazia in Lombardia, Gambolò viene danneggiata più volte dai milanesi: nel 1157 da Guido di Biandrate, che saccheggiò il paese e ne distrusse il castello, ed in seguito nel 1213 e nel 1253, dal podestà milanese Manfredo Lancia; tale sorte viene condivisa dalla quasi totalità dei piccoli abitati medievali lomellini. Finchè i milanesi, guidati dai Visconti, non riescono, alla lunga, a domare l’antagonista Pavia. Il feudo di Gambolò perviene ai Beccaria e viene poi dato da Galeazzo Maria Visconti a Francesco Pietrasanta.
La Roggia Castellana, il più importante canale irriguo del luogo (lungo circa 32 chilometri), fu ideata dal Conte Agostino Beccaria, feudatario di Gambolò, il quale ne ottenne licenza di costruzione dal Duca Francesco Sforza. I lavori, in atto nel 1464, si arrestarono nel 1471 ai Molini di Borgo S. Siro. Essi furono poi ripresi e condotti a termine nel primo ventennio del 1500 dall’amministrazione dell’Ospedale di Pavia.
Fra basso Medioevo e Rinascimento la zona rifiorisce, grazie a bonifiche e canalizzazioni che valorizzano la campagna. Con l’avvento degli Sforza e la successiva perdita del ducato a favore dei francesi passa, nel 1499, nelle mani di Gian Giacomo Trivulzio, maresciallo di Luigi XII, marchese di Vigevano e conte di Mesocco. Il feudo resta per breve tempo ai Trivulzio, pervenendo nel 1513 al cardinale Matteo Schiner cui vieve donato, insieme con Vigevano, da Massimiliano Sforza in cambio dei favori ricevuti. Nel 1573 i nobili Litta Visconti Arese acquistano dalla Corona spagnola il feudo di Gambolò per la somma di 60.400 lire. Da qui inizierà una lite tra la famiglia Litta e il Comune per il possesso del Castello, che i nobili intendono trasformare in una residenza signorile; la proprietà di quest’ultimo verrà completata soltanto due secoli più tardi, e ai Litta rimarrà fino ai giorni nostri.
All’epoca viscontea (secoli XIII e XIV) risale, principalmente, la fase attuale del Castello. Le prime notizie certe circa le caratteristiche e le dimensioni del castello appaiono nel secolo XV. In tale epoca il complesso fortificato ha pianta quadrilatera, torri tonde ai quattro angoli e altre quattro torri minori quadrate al centro dei lati, i cui muri hanno base scarpata e la parte sommitale coronata da un’ininterrotta merlatura ghibellina, posta a protezione di un cammino di ronda. L’ingresso si apre sul lato orientale, difeso da un robusto rivellino munito di ponte levatoio (probabilmente su questo lato le torri intermedie sono due, in una delle quali è inserito l’ingresso). Nella torre di nord-est trova posto la prigione; di fronte a questa sorge probabilmente la cappella. Nel settore nord-occidentale sorgono gli edifici nobiliari. Nello spazio superstite trovavano posto le casupole del popolo, divise da strette viuzze disposte con regolarità geometrica, i cui nomi sono giunti fino a noi.
Così si presenta il complesso allorché lo stesso viene infeudato, nel 1573, ad Agostino Litta, che ne assume anche il titolo comitale e che dà corso alle prime ristrutturazioni, dapprima parziali, poiché, entro la cerchia muraria, sussistono terreni di proprietà privata, per i quali si genera una controversia destinata a durare alcuni secoli. Nell’ultimo scorcio dello stesso secolo buona parte delle abitazioni private viene abbattuta per far posto all’attuale palazzo signorile, utilizzando in parte le strutture preesistenti. Viene progettato il porticato sul lato posteriore (volto a ponente) che va dal palazzo alla torre sud-occidentale (denominata Mirabella) che subisce a sua volta un rilevante sopralzo e viene dotata alla sommità di una balconata in ferro. Con l’avanzare dei secoli e l’avvicendarsi dei successori di Agostino Litta i lavori proseguono. Viene ultimato il viale d’ingresso orientale, vengono modificate alcune torri, viene terminato il porticato occidentale. Verso la fine del secolo XVII un portale barocco sostituisce il rivellino d’ingresso, mantenendo però il ponte levatoio. I lavori possono dirsi ultimati nel secolo successivo, quando tutto il complesso castrense è interamente proprietà dei Litta e ha ormai acquisito l’aspetto definitivo, che si può vedere oggi.
L’attuale chiesa dei Santi Gaudenzio ed Eusebio è una versione adattata ed ampliata della più antica San Gaudenzio, fatta risalire all’inizio del XII secolo e successivamente modificata, nel 1547. In questa chiesa vengono insediati, già nel 1153, a spese della comunità, tre canonici, che arrivano a sei nel 1580. È da segnalare la presenza di San Carlo Borromeo che, nel 1578, vi insegna il catechismo. La costruzione della torre campanaria, che nell’ultimo secolo ha subito vistosi rimaneggiamenti, inizia nel 1510 su una precedente. La chiesa viene dedicata ai Santi Gaudenzio ed Eusebio nel 1832, in seguito ad una bolla di Papa Gregorio XVI. Viene restaurata ed ampliata tra il 1896 e il 1899 dall’architetto Castelli, che la porta alle forme attuali.
Nel 1672 arrivano le spoglie di S. Getulio, riesumate l’anno precedente dalle catacombe di Roma. Il Santo, originario di Gabi, nel Lazio, martirizzaro dall’imperatore Adriano nel 124, diviene il patrono del paese.
Nel XIX secolo alcune vicende d’armi toccano Gambolò: il 21 marzo 1849, quando si combatte la battaglia della Sforzesca, il I Reggimento della Brigata Savoia tiene testa alle brigate austriache; nel 1859, durante la seconda guerra d’Indipendenza, un drappello di ulami austriaci, in ritirata, compie un’incursione in paese.
Fra i personaggi di rilievo si ricordano Ugo de Gambolate, giurista attivo a Pavia fra l’XI e il XII secolo, i fratelli Giuseppe (sacerdote, 1805-1874) e Giulio (medico, 1806-1846) Robecchi, eroi del Risorgimento, e Gemma Biroli (1901-1983), poetessa, pensatrice e pittrice.
Gambolò è la patria del card. Arcangelo Bianchi (1516-1580), domenicano, stretto collaboratore del papa San Pio V, che fu munifico verso il paese natale, fondandovi e dotandovi le scuole pubbliche che sorgevano sulla via di San Paolo.
Oggi, delle sue opere difensive murarie rimangono solo tre delle quattro porte che contrassegnano i limiti della geometrica struttura urbana con quella del castrum romano: sono denominate Porta Milano, porta Torino e Porta Genova, secondo la direzione verso cui sono rivolte.
Il Castello Beccaria-Litta , caratterizzato soprattutto dall’ingresso principale, costituito dallo scenografico portale barocco che, sopra l’arco a sesto ribassato, porta ancora le insegne del casato cui è dovuta la costruzione. Ai lati delle armi dei Litta si notano le sedi dei bolzoni del ponte levatoio; al centro, nella parte alta, un oculo circolare inserito in un archivolto strombato dà movimento alla facciata sostenuta da quattro lesene coronate da capitelli. Nell’ala seicentesca del palazzo è ospitato il Museo Archeologico Lomellino, in cui è possibile trovare significativi reperti della presenza umana in Lomellina dal 5500 al 25 avanti Cristo.
Seguendo la cintura muraria esterna in senso antiorario si incontra, sul lato nord, un ponte in muratura che ha sostituito la torre quadrata centrale, alla cui destra sono osservabili le propaggini esterne del palazzo signorile. La sezione estrema di questo, prima dell’alta torre angolare, può essere considerata l’unico resto autentico dell’edificio quattrocentesco. Il fronte occidentale, interamente secentesco, presenta, addossato alla torre, un ingresso pedonale munito di ponte levatoio, situato a notevole altezza da terra e di insolita lunghezza. Tale ponte permetteva il superamento del fossato e aveva sbocco sul terrapieno posto tra il fossato e la parallela roggia. Nell’Ottocento davanti a quest’entrata pedonale viene eretto un secondo ingresso in stile barocco, poi parzialmente distrutto con l’apertura della via alzaia - l’attuale via della Roggia - e definitivamente ricostruito negli anni Settanta. Scomparsa la torre centrale, a metà del lato occidentale è rimasto un corpo lievemente sporgente, in corrispondenza della parte terminale del palazzo. I successivi cinquanta metri costituiscono la parete posteriore del loggiato che poggia, all’angolo sud-ovest, sulla torre Mirabella. Il lato sud, sicuramente il più rimaneggiato (i merli vengono ricostruiti nel corso dei restauri operati negli ultimi decenni), conserva la torre centrale, ora tonda, come pure tonde sono la torre all’angolo sud-occidentale e la successiva intermedia sul lato nord-orientale.
Cuore del paese è la piazza principale dove prospettano eleganti edifici e la Chiesa parrocchiale ; l’edificio conserva l’impianto romanico a tre navate, che pare risalire alla seconda metà del sec. XI; il campanile fu sopralzato in epoca barocca. L’interno conserva inalterato l’aspetto originario, arricchito dalle sedimentazioni dei secoli e opere d’arte di grande pregio. Ricordiamo, tra le tele, il Presepe di B. Campi (1572), una Madonna del Carmine con Santi di G.B. Tassinari (1614), l’apparato decorativo della cantoria e delle ante dell’organo, del Fiammenghino (inizi sec. XVII). In una cappella laterale è il corpo santo di San Getulio, martire dei primi secoli dell’era cristiana, che dall’abbazia di Farfa (nel Lazio) fu traslato in Gambolò nel 1672 e dichiarato patrono principale della Comunità. L’urna e la cappella sono in stile novecentesco: tra le altre preziose reliquie conservate vi è quella della Beata Caterina Nai Savini, terziaria domenicana morta a Vigevano nel 1524, le cui reliquie si venerano nella chiesa di san Pietro martire.
Nell’interno si trova la cappella gentilizia dei Litta-Visconti-Arese, dotata di belle sculture canoveggianti, tele dell’Appiani e del Canevari ed affreschi del Sottocornola e del Gambini.
Di notevole interesse è anche la pieve di Sant’Eusebio, il monumento più vetusto ed insigne della fede di Gambolò: viene innalzata tra il V ed il VI secolo sopra un tempio romano dedicato a Minerva; sorge alla periferia del nucleo attuale, che andò organizzandosi come un borgo fortificato chiuso da mura e porte (in parte ancora conservate).
A poca distanza dalla chiesa, c’è una chiesetta dedicata alla “Madonnina del Terdoppio” , eretta nel sec. XVII e preceduta da un portico. All’interno un bell’altare con ancona di gusto manierista custodisce un affresco recente, mentre le pareti e la volta sono decorate da elegantissime prospettive rococò.
Vi sono alcune chiese, sede di confraternite, caratterizzate da riti e tradizioni che il progresso non ha scalfito:
Il territorio comunale comprende anche le frazioni di:
Gambolò oggi è un paese agricolo ed industriale, pieno di iniziative e di tradizioni.
La festa patronale si tiene la quarta domenica di ottobre, mentre a luglio si tiene la Sagra del Fagiolo Borlotto.