L’origine del nome deriva dal latino “Bremis” o “Remetum”. Secondo gli storici il nome potrebbe derivare da Bremo, duce dei Galli, oppure da Brema, città della Bassa Sassonia.
L’antico borgo di Breme sorge all’estremo occidentale della Lomellina, sopra un ansa del fiume Po che nei dintorni si unisce alla Sesia. Era una “curtis” (ovvero una unità amministrativa autonoma) già nel 929, anno a cui risale il primo documento che porta testimonianza del piccolo borgo: un diploma del re Ugo, datato a Pavia il 24 luglio di quell’anno, conferma le donazioni fatte dal marchese Adalberto d’Ivrea, padre di Berengario II Re d’Italia, ai monaci dell’abbazia di Novalesa - da alcuni anni esuli a Torino -, tra le quali le “corti” di Breme e di Pollicino.
Ma facciamo un passo indietro... La storia dell’abbazia benedettina di Breme è strettamente collegata a quella dell’abbazia di Novalesa, in Val di Susa, località strategica per il passaggio tra la Francia e l’Italia, tappa di commercianti, pellegrini, eserciti e banditi. Qui, sulle pendici del Moncenisio, a controllo dell’importante strada che univa i regni dei Franchi e dei Longobardi, il 30 gennaio 726 Abbone, signore franco di Susa e di Moriana (al di là delle Alpi) fonda sulla strada del Moncenisio un monastero intitolato a San Pietro, così da porlo sotto la giurisdizione immediata del Papa; il monastero viene affidato a monaci che seguono la Regola di San Colombano (in seguito passano a quella di San Benedetto), e, nel volgere di pochi anni, diventa una delle abbazie più celebri d’Europa, centro di vita religiosa e spirituale, ma anche punto di riferimento culturale; la fama del suo scriptorium e della sua biblioteca travalica le Alpi ed il monastero è sotto la protezione di Carlo Magno.
All’inizio del X secolo (nel 906) questa potente abbazia sembra sul punto di soccombere; dalle loro basi in Provenza, i saraceni si affacciano al di qua delle Alpi, portando ovunque saccheggio e distruzione. Donniverto, ultimo abate dell’abbazia di Novalesa e primo di quella di Breme, piuttosto che affrontarli, preferisce riparare con i suoi monaci a Torino, presso la chiesa di San Clemente (antico loro possedimento), che sorge fuori le mura, in zona Valdocco; porta con sé gli arredi sacri, gli oggetti preziosi e una parte della biblioteca. Da qui, infine, vengono presi sotto la protezione del marchese Adalberto che, come abbiamo visto, dona loro alcuni possedimenti, tra cui Breme.
Nel 929 inizia, quindi, la costruzione dell’abbazia di Breme, e viene fondato l’Ordine Monastico dei Bremetensi; a Pollicino riedificano la chiesa, dedicata a Santa Maria, che ancora esiste come il più antico Santuario mariano della Lomellina, mentre il borgo con il tempo scomparve. Nel 973, Papa Giovanni XIII conferma la nuova abbazia dedicata a San Pietro, che diviene centro del potente Ordine Bremetense, con privilegi e possedimenti in tutto il Piemonte. Agli inizi del sec. XI risale anche la cripta. In questi anni venne scritta, forse a Breme, la “Cronaca di Novalesa” ovvero la storia del monastero, di cui si conserva nell’Archivio di Stato di Torino la pergamena originaria. Si parla anche di un monaco Bruningo, architetto, della famiglia dei conti Palatini di Lomello. A questa stagione architettonica si devono molti monumenti di stile romanico presenti nelle aree di influenza bremetense in Piemonte e in Francia: ricordiamo la basilica di Santa Maria Maggiore a Lomello, la pieve di Velezzo Lomellina e la collegiata di Breme (pur restaurata), erette nei primi decenni del sec. XI.
Da Breme dipendono fiorenti priorati sparsi lungo le valli del Po e del Rodano, e un monastero femminile, nella frazione Rocca delle Donne di Camino (poi passato alle Clarisse). A Lomello (antica capitale della Contea da cui dipende Breme) vi è un priorato intitolato a san Pietro, posto sulle rive dell’Agogna, ora scomparso, mentre a Pavia offìciano la chiesa dei Santi Gervasio e Protasio (l’antica cattedrale della città).
Breme ha molti contatti con Cluny ed è legata ai movimenti di riforma dei tempi di papa Gregorio VII, e in particolare con San Pier Damiani. L’Imperatore Ottone III conferma i privilegi nel 992, e dopo di lui Corrado II nel 1026. Anche i Papi sono larghi di concessioni, a partire da Benedetto VIII (1014); nel chiostro di Breme si formano Abati e Vescovi, per Cluny, Alba, Chartres.
Dal monastero di Breme dipendono diversi priorati e numerosissimi monaci: nel corso del sec. XII diventa il sesto per importanza in Europa. Con il passare del tempo però gli appetiti dei signorotti locali e anche di certi vescovi portano all’occupazione di molte terre e la perdita di dipendenza di molti priorati, che si rendeono soggetti ad alte realtà locali.
Nel 1164 Federico Barbarossa concede l’Abbazia ed il feudo di Breme al marchese di Monferrato, Guglielmo V. Nel 1306 le truppe mercenarie al soldo dei Visconti assediano e prendono Breme; con l’occupazione del borgo, i Visconti trasformano l’abitato in una fortezza che nei secoli successivi è contesa tra il Ducato di Monferrato e quello di Milano, e poi tra Francesi e Spagnoli. Particolarmente dura è l’occupazione del borgo da parte di Azzone Visconti nel 1337. Nel 1355 l’imperatore Carlo IV assegna la fortezza al Marchese di Monferrato, e nel 1359 Luchino dal Verme conquista Breme per i Visconti, facendolo partecipe delle sorti del Ducato di Milano. Ne patisce soprattutto l’edificio abbaziale, eretto nel luogo più strategico, a ridosso dell’ansa dei fiumi Po e Sesia, che in quell’epoca si incontrano a pochi metri dal paese, appena sotto la costa, ancora ben visibile.
I monaci bremetensi si riducono di numero progressivamente e l’abbazia cade sotto l’istituto della Commenda, che è la causa della fine di moltissime istituzioni monastiche d’Europa. In pratica i beni dell’abbazia vengono assegnate ad un Abate che ne ha solamente il titolo e ne gode le rendite, senza esercitare l’ufficio abbaziale.
La comunità dei monaci si trova quindi senza la possibilità di eleggere un abate e reggersi autonomamente. Il primo abate commedatario, nominato da papa Paolo II nel 1542 ottiene che l’abbazia fosse assegnata alla Congregazione degli Olivetani che la assegnano a quella di San Bartolomeo della Strada di Pavia (sorgeva nei pressi del Ponte vecchio). I monaci di Breme vengono trasferiti nell’abbazia di Sant’Alberto di Butrio in Oltrepò. Gli Olivetani fanno erigere il campanile e, sulle rovine dell’antica fortezza, edificano il nuovo monastero.
Nel 1635 i duchi sabaudi ed il maresciallo francese De Crequì occupano Breme e fanno costruire una fortezza a forma pentagonale a due porte, dopo aver demolito varie abitazioni e parte del convento di San Pietro. La fortezza, in grado di accogliere fino a 1.500 uomini, dopo aver resistito a numerosi fatti d’armi ed a lotte furibonde di predominio, cade in mano agli spagnoli; in uno di questi assalti, nel 1638, rimane ucciso da un colpo di archibugio lo stesso maresciallo De Crequì In seguito gli spagnoli, per non fornire al nemico una base sicura in caso di conquista, decidono di distruggere le fortezze, e il complesso abbaziale viene ricostruito nelle odierne forme barocche. Di quel periodo rimane il chiostro porticato, di cui restano tre lati, e la torre campanaria della chiesa.
L’Abbazia Bremetense viene soppressa nel 1784 da Vittorio Emanuele I. Tutti i beni passano nelle mani dello stato ed i monaci Olivetani si devono trasferire a Novara, nel convento di Santa Maria delle Grazie, mantenendo la proprietà della cascina Rinalda (con la chiesa di Santa Maria del Pollicino) che viene venduta agli Arborio di Sartirana nel 1793.
Costituisce, senza dubbio, uno dei paesi lomellini più interessanti dal punto di vista ambientale ed architettonico. Ma Breme è maggiormente nota per l’antica e famosa Abbazia di San Pietro ( - sec. X-XVI), oggi sede del Municipio, che nel medioevo esercita grande influenza sotto il profilo politico e religioso, occupando il terzo posto fra le abbazie più importanti dell’impero. Le forme attuali sono secentesche; ancora in discrete condizioni, conserva un bel chiostro ed un locale sotterraneo, già adibito a cucina: la Cucina dei Frati ( - sec. XVI): fu costruita nel 1542 dai monaci benedettini olivetani provenienti dal monastero di Monte Oliveto Maggiore di Asciano (SI).
Assolutamente da non perdere l’unica parte rimasta dell’antica Abbazia, la Cripta ( - sec. X-XI) , la più antica della Lomellina, situata sotto il presbiterio dell’antica Chiesa, della quale rimane solo un muro perimetrale e la parte esterna dell'abside; la pianta è rettangolare divisa in tre navatelle, separate da colonne di marmo (le prime tre arcate) e da pilastri in laterizio, mentre i muri perimetrali sono in materiale misto (laterizi e ciottoli di fiume). Rimane anche un locale adiacente, con volta a botte e ripiani in laterizio, situato però in una proprietà privata e quindi non visitabile.
Merita una visita, inoltre, la chiesa pievana di Santa Maria Assunta ( - XII-XIII sec., ma molto rimaneggiata), già sede dei monaci benedettini; l’antica facciata a capanna è stata rialzata in epoca successiva, come si può notare dal diverso tipo di disposizione dei mattoni. Presenta lungo tutto il perimetro esterno una caratteristica decorazione a denti di sega, tipica dell’architettura romanica di questa zona. L’interno è stato rifatto nel 1896 in stile classico per ospitare la cappella di San Barnaba, che da secoli è venerato come patrono della comunità, la cui grande statua è portata in festosa processione per le vie del paese in spalla dagli agricoltori al mezzogiorno di ogni 11 giugno. La chiesa parrocchiale è un edificio a tre navate eretto nel sec. XI, rifatto in epoca barocca e ampliato nel 1851, completamente rifatto nel 1933 in un tentativo di riprendere le linee romaniche originarie in un contesto moderno secondo il gusto del tempo. L’interno è stato restaurato interamente nel 2013: l’altare maggiore è sormontato da un ciborio. Vi sono pitture moderne del lomellese V. Viterbone raffiguranti i Santi Pietro e Paolo in ricordo dell’antica abbazia, e quattro tele del 1781 con i Santi Evangelisti, donati dalla casa Visconti presente da secoli in paese. Nella sagrestia è un prezioso mobiglio in stile barocco del primo settecento, proveniente dalla chiesa abbaziale e una tela raffigurante la Pentecoste (sec. XVI) già nell’altare della confraternita dello Spirito Santo che gestiva nel medioevo un ospedale per pellegrini. Accanto alla chiesa si erge il campanile, in muratura, il cui concerto campanario, tra i più belli della diocesi, è da alcuni anni purtroppo silente.
Annesso alla chiesa si trova il Battistero (secc. VII-IX), che si fa ammirare per la sua originalità architettonica: l’edificio mostra, nella parte alta della sua pianta circolare, una serie di lesene allacciate da archetti pensili binati, in successione regolare ed armoniosa. Per le sue caratteristiche è attribuibile al X secolo, mentre la sua matrice originaria risalirebbe al VI secolo, mostrando punti di contatto tra le concezioni pagane e quelle cristiane. Incontestabile, comunque, l’origine romana del monumento, confermata dal ritrovamento di cocci lapidari dell'epoca imperiale incastonati nella muratura della pieve.
In paese sorge anche la chiesa di San Sebastiano, un edificio settecentesco ad unica navata con un campanile di stile barocco piemontese: la più antica campana risale al 1728, ed è l’unica così vecchia in Lomellina. L’edificio, ristrutturato nel 1955, è stato completamente restaurato negli anni scorsi valorizzando un patrimonio minore ma non meno prezioso: pregevole un crocefisso ligneo del sec. XVII. Vi aveva sede l’omonima confraternita laicale che fu unita a quella della SS. Trinità, la cui chiesa, chiusa nel 1801 sorgeva nell’omonimo rione verso Valle.
Del Castello è rimasto ben poco: il cosiddetto “Corpo di Guardia”, cioè il portico sulla piazza principale, nel cui pilastro centrale è murata una lapide con inciso lo stemma di Breme e la legenda “Comunitas Bremide”, ed un altro edificio ritenuta l’abitazione dei governatori del forte. Attorno all’abitato emergono brevi vestigia delle poderose mura e della mezzaluna. Un vasto campo quadrato, detto ancora piazza d’armi, è tutto ciò che resta della fortezza, il cui disegno è conservato nell’archivio dei marchesi di Breme, a Sartirana.In Piazza Marconi si trova l’obelisco eretto per ricordare il passaggio in paese di San Carlo Borromeo, avvenuto nel 1579. Da allora, come tradizione, ogni giorno al tramonto viene ricordato questo evento con un rintocco di campana. La colonna fu innalzata nel 1623 nella piazza principale del paese, e nel 1877 (come ricorda l’iscrizione alla base) venne trsportato in questa piazza. È del tutto simile a quello che si trova, con lo stesso significato, in centro a Candia Lomellina.
Tra Breme e Candia, nei pressi della tenuta Rinalda, è ubicato il più antico santuario mariano della Lomellina, Santa Maria di Pollicino ( - sec. X-XI); la chiesetta era di pertinenza della curtis di Pollicino o di Polliciano (l’etimologia è incerta e, secondo alcuni studiosi, deriverebbe da “Padi limus”, “palude del Po”). Ha una straordinaria somiglianza con la cappella di San Eldrado a Novalesa, il che lascia supporre la mano dello stesso architetto. Il sacro luogo è ricordato in un documento del 992 di Ottone III, in cui ne viene confermata la custodia ai monaci bremetensi. Ha pianta rattangolare a navata unica, con abside semicircolare e facciata a capanna. Il primitivo aspetto romanico รจ stato alterato dai diversi restauri che si sono succeduti nei secoli.
La chiesa subì un radicale restauro nel 1897 e un ultimo nel 1958 quando fu rifatto il soffitto, l’altare e il selciato esterno. Al centro dell’abside è collocata una statua della Madonna con il Bambino, opera di uno scultore quattrocentsco, ridipinta in epoca moderna. Sopra l’ingresso è affrescato San Siro, proto-vescovo di Pavia, a ricordo che la chiesa era ai confini del territorio pievano di Breme (pavese) con quello di Cozzo (vercellese).
Di proprietà privata, è visitabile su richiesta.
Dal punto di vista ambientale è meritevole di segnalazione la garzaia del Bosco Basso, situata tra i comuni di Sartirana e Breme.
Il prodotto tipico si Breme è la cipolla rossa, un ortaggio che ha le certificazioni D.O.P. e DE.CO. Ne esistono due qualità, “la Nostrana” e “la Quarantina”, entrambe dal gusto dolce e dalle grandi dimensioni. A questo prodotto da anni ormai è dedicata una Sagra (vedi sotto) tra le più famose della Lomellina, che richiama migliaia di buongustai.
La manifestazione principale, che si tiene in concomitanza con la festa patronale di San Barnaba (11 giugno), è la Sagra della Cipolla, celebrazione gastronomica cui fanno da corredo diverse manifestazioni sportive.
Da segnalare, inoltre, la Mostra dell’Artigianato, Commercio ed Agricoltura, la seconda domenica di marzo, che vede la presenza di vari espositori provenienti da varie parti del nord Italia, e la Sagra di Settembre, con spettacoli di vario genere.