La bufera rivoluzionaria, scatenatasi nel 1789 in Francia, ha una grave ripercussione anche in Italia, specialmente nella regione piemontese; la prima conseguenza è quella di spaventare i sovrani d’Europa, logico quindi che i nemici di un tempo diventassero alleati di fronte al pericolo comune.
Il re Vittorio Amedeo III viene spinto dai fuoriusciti francesi a rifiutare l’invito alla dichiarazione di neutralità; l’alleanza tra questi e l’imperatore d’Austria Francesco II è firmata a Milano il 22 settembre 1792. L’assemblea legislativa francese ordina allora al generale Montesquieu di invadere la Savoia e al generale Anselme di occupare Nizza. In quest’ultima milita il capitano d’artiglieria Napoleone Bonaparte. In ambedue queste provincie i piemontesi sono obbligati a cedere terreno ed immensa è la costernazione per le disfatte militari subite.
Arrivano intanto a rinforzo alcuni reggimenti austriaci dalla Lombardia e parecchi cittadini corrono volontariamente alle armi costituendo milizie urbane. La Lomellina dà 1.200 volontari incorporati nel reggimento Casale. Viene nominato comandante delle truppe piemontesi il generale Colli di Vigevano, che è al servizio dell’Austria. Nel 1794 le truppe repubblicane si impadroniscono dei versanti delle Alpi verso la Savoia e giungono fino al colle di Tenda.
Al principio del 1795 le condizioni del Piemonte sono molto gravi: l’erario esausto, il popolo scontento e l’esercito abbattuto e sfiduciato. Il re, più che mai avverso alla Francia, impone la tassazione del 6% su tutti i contratti di affitto, colpendo in questo modo le masse degli agricoltori. Si aggiunge un’imposta sul focatico e sui servi e si procede alla vendita dei benefici semplici di nomina regia e dei beni delle confraternite.
Si riprendono però le azioni militari e la campagna d’Italia viene affidata a Napoleone, che, malgrado i suoi 27 anni, riesce a marciare rovesciando sperimentati feld-marescialli e soldati veterani. Napoleone riporta la vittoria di Mondovì, cui segue l’armistizio di Cherasco del 27 aprile 1796, col quale il re, abbandonando l’alleato austriaco, concede alla Francia la libera disponibilità delle strade e delle fortezze del Piemonte. Il 10 maggio è la giornata di Lodi, cioè la vittoria di Napoleone nella prima campagna d’Italia. La Lomellina viene percorsa dai francesi mandati a rafforzare l’esercito in Italia. Assicurata poi la pace con l’Austria col trattato di Campoformio del 26 ottobre 1797 e inaugurata a Milano la repubblica Cisalpina il 9 luglio dello stesso anno, pare ai francesi giunta l’ora di far crollare il trono della casa Savoia. Le truppe francesi, su ordine del Direttorio, iniziano ad occupare militarmente tutto il Piemonte il 27 novembre 1798. Il re Carlo Emanuele abdica il 9 dicembre 1798 ed in Piemonte viene costituito un governo provvisorio, dapprima di 15, poi di 20, ed infine di 25 membri. In realtà il comando rimane nell’ambasciata di Francia. Tutta l’amministrazione viene organizzata sul sistema francese, ed il Piemonte, perdendo la sua indipendenza, è aggregato alla Repubblica.
La Lomellina fa parte del Dipartimento dell’Agogna. In ogni paese viene piantato l’“albero della libertà” e sono abbattuti a colpi di martello tutti gli stemmi reali degli uffici pubblici. La regione più dissanguata dalle taglie, requisizioni e sequestri da parte dei francesi è la Lomellina. Tra i pionieri delle nuove teorie politiche in Lomellina troviamo l’ingegnere Magenta di Zerbolò, l’avv. Corbella di Mortara, l’avv. Pollini di Alagna e i vigevanesi Cotta Morandini, Fusi e Ferrari Prosa, tutti futuri rappresentanti del Dipartimento di Alagna ai comizi di Lione.
I governanti si adunano il 1° febbraio 1799 e, dopo lunga discussione, deliberano di raccogliere i voti per l’annessione del Piemonte alla Francia. Si ottiene la risposta affermativa di oltre 800 comuni, quelli di Lomellina compresi. Il Piemonte viene diviso dal commissario francese Musset in quattro dipartimenti: Eridano, Sesia, Stura e Dora. Nel frattempo, mentre Napoleone è in Egitto, Russia e Austria si alleano e spediscono un esercito di 52.000 soldati in Italia, comandati dal generale Suvarov. Battuti i francesi in marzo e aprile tra l’Adige ed il Mincio, e battuti ancora a Cassano d’Adda, questi si ritirano concentrandosi tra Casale e Valenza. Il 28 aprile 1799 gli austro-russi entrano in Milano e raccolgono forze in vista dell’attacco decisivo; il 5 maggio 1799 un corpo di truppe russe comandato dall’arciduca Costantino è accampato presso Dorno e Lomello. Intanto un corpo di truppe alleato ha passato il Sesia e dalla Lomellina entra nel vercellese, e un altro corpo passa alla destra del Po. Il generale Moreau, comandante dell’esercito francese, ridotto a 20.000 uomini, si ritira verso Genova. Alla notizia della sconfitta della battaglia di Novi del 15 agosto 1799, il commissario Musset arresta 57 aristocratici sospetti di cospirazione. Tra questi il marchese di Breme, che viene tradotto prima a Grenoble, poi a Digione quale ostaggio.
Nella primavera del 1800 Napoleone, di ritorno dall’Egitto, con una marcia inusitata fino ad allora nella storia militare, dal 15 al 20 maggio, superate le Alpi, invece di cercare le truppe del generale austriaco Melas disseminate nel basso Piemonte, punta su Milano e, dopo la vittoria di Turbigo, la occupa il 2 giugno. Nel castello di Lomello si tiene un consiglio di guerra presenti il feld-maresciallo austriaco Mulas, il generale russo Suvarov ed il principe russo Costantino. Napoleone, passato il Po, si scontra con gli austriaci nella pianura di Marengo il 14 giugno 1800, riportando una memorabile vittoria, che lo rende padrone dell’Italia fino al Mincio e pone fine alla presenza austro-russa in Italia.
In quegli anni l’aspetto della Lomellina è miserabile: una carestia e le rapine dei soldati l’hanno ridotta in estrema miseria. Si aggiunge anche una prolungata siccità per cui, come si trova nelle testimonianze d’epoca, si è “poco prodotto o quasi niente la meliga o i fagioli ed il raccolto del grano è stato scarsissimo”.
Napoleone il 7 novembre 1800 ordina il distacco dal Piemonte di tutto il territorio a sinistra del Sesia, Lomellina compresa, e l’unione di queste province alla Repubblica Cisalpina, che dopo i comizi di Lione, in cui fu approvato dai delegati italiani lo statuto napoleonico, prende il nome di Repubblica Italiana. Ai comizi sono delegati 8 membri della Lomellina fra cui il marchese di Breme, che è presidente del Consiglio del Dipartimento di Agogna. La Lomellina viene staccata dal Piemonte con decreto del 2 aprile 1801 e segue le sorti della Repubblica Italiana, fino a che Napoleone assume il titolo di imperatore dei francesi e re d’Italia il 15 marzo 1805. È questo un periodo di tranquilla floridezza.
Napoleone, sconfitto il 4 maggio 1814, fugge all’isola d’Elba e gli austriaci occupano Milano il 25 maggio 1814. Vittorio Emanuele I ritorna a Torino e la Lomellina e Vigevano, che prima fanno parte del Regno Italico, tornano a riunirsi al Piemonte.
L’Austria, dopo la caduta di Napoleone, fa attraversare alle sue truppe il Ticino ed occupa la Lomellina e poi il Piemonte. Da alcuni documenti si viene a sapere l’intenzione dell’Austria di annettersi le province alla sinistra del Sesia e solo un’abile politica diplomatica presso la Russia permette il ritorno al Piemonte delle provincie di Novara e della Lomellina.
L’Austria tiene a lungo una guarnigione in Piemonte, nei paesi prossimi al Ticino. Le sue truppe causano i soliti guai e gravi danneggiamenti. Non mancano le proteste del re piemontese ed i reclami presso le potenze estere ottengono che le truppe sgombrassero finalmente nel marzo 1816 il territorio del regno.
In Lomellina dopo il trattato di Vienna e fino al 1817 imperversa una vera carestia e miseria generale dovuta all’inclemenza del clima e all’imprevidenza dello stato.
Il re sabaudo chiede al pontefice che il confine ecclesiastico coincida con quello politico del suo stato, ovvero che le 69 parrocchie della Lomellina siano staccate dalla diocesi di Pavia dalla quale dipendono e unite a quella, minuscola, di Vigevano. Ciò viene concesso nel 1817. Si compie così un processo di “piemontesizzazione” della Lomellina (anche la diocesi di Vigevano, generata da Milano, è inserita nella metropolitana piemontese di Vercelli) che, se da una parte lascia maggior libertà ai fautori dell’imminente Risorgimento, dall’altra rallenta lo sviluppo economico della regione.