L’armistizio «Salasco», firmato a Vigevano, chiuse in umiliazione la campagna del ’48 iniziata in modo così brillante e promettente con le «Cinque giornate di Milano», ma non disarmò lo spirito dei patrioti italiani. Cinque giorni dopo un fiero e consapevole intendente - Pietro Boschi - raccomandava alle autorità lomelline di «fare buone accoglienze ai Cappuccini, i quali si erano profferti di recarsi in tutte le province a risvegliare gli antichi entusiasmi del popolo ed a spronarlo a contribuire con ogni sacrificio alla gestante guerra della nostra indipendenza e alla difesa della patria minacciata dallo straniero».
Tra Il 12 ed il 20 marzo 1849 Carlo Alberto lasciò la cittadella di Alessandria ed intraprese un giro d’ispezione alle truppe mobilitate ed accantonate in Lomellina e nel basso Novarese. La sera del 18 giunse così a Mortara e prese stanza nel Palazzo lateranense. L’indomani presenziò ad una grande parata militare nei pressi di Remondò, dove consegnò ai Reggimenti della Divisione Bes le bandiere d1 guerra, benedette dal Vescovo di Vigevano, Pio Vincenzo Forzani, dopo la celebrazione d’una S. Messa al campo.
Non è questo il luogo per intraprendere l’analisi minuta della condotta delle operazioni e degli schieramenti assunti: si sa che lo Stato Maggiore difettava di collegamenti e che non tutti i comandanti conoscevano il teatro degli scontri. Le truppe, al comando del gen. Chrzanowsky, furono schierate nei dintorni di Mortara: tra gli ufficiali superiori e i generali c’erano alcuni degli uomini più rappresentativi in campo militare.
L’esercito austriaco investi l’intero schieramento nelle ore pomeridiane del 21, con mosse ritenute improbabili dal fantomatico Stato Maggiore italiano. La battaglia, accesasi improvvisamente nella zona dei cosiddetti sabbioni - dove sorge ora l’Ospedale Vittoria - sulla provinciale per Pavia - scompaginò i reparti impegnati facendoli arretrare sulla città, dove si spense dopo autentici episodi di eroismo. L’ala destra dello schieramento piemontese, asserragliata intorno al Cascinale di Sant’Albino, e posta sotto il comando del col. Delfino - eroe di Peschiera e due volte decorato a Goito e a Santa Lucia - resistette ad oltranza, tra miracoli di fermezza e di ardimentoso sprezzo del pericolo, finché non fu ordinata la ritirata dal Comandante in capo, gen. Alessandro Lamarmora, verso la fatale Novara, dove si concluse, appena due giorni dopo, con esito infausto la campagna del 1849.
L’Ufficio Storico dello Stato Maggiore Italiano nella sua ampia ed accurata trattazione del 1928 assegno ai Piemontesi 76 feriti e 45 caduti, contro 42 morti e 26 feriti Austriaci, ma gli storici contemporanei registrarono perdite superiori da ambo le parti. Lo scontro, preceduto dagli episodi di valore del bersagliere Luciano Manara a Cava è tuttora ricordato, nel suo punto epicentrale, in località ex sabbioni di Mortara, da un obelisco eretto nel 1852, che porta incisa la seguente iscrizione:
Ai prodi - che combattendo - per l’italiana - indipendenza -
morirono - su questi campi - nel 1849 - i mortaresi -
questa memoria - posero - nel 1852
Sui lati destro e sinistro del plinto si leggono i nomi degli artiglieri operai G. B. Napoli e Giuseppe Minghetti, che - fedeli alla consegna - morirono sul loro pezzo piuttosto che arrendersi alle soverchianti forze del nemico.
Un’altra descrizione della battaglia di Mortara si trova nel volume “Battaglie e fatti d’armi del Risorgimento in Provincia di Pavia, di Marziano Brignoli (ed. Ente Provinciale Turismo di Pavia, febbraio 1983). Per leggere un estratto clicca qui.