La battaglia di Mortara

22 marzo 1859

Il successo riportato alla Sforzesca non valse a fermare la marcia degli Austriaci che miravano ad impadronirsi di Mortara, da dove l’offensiva poteva svilupparsi sia verso Novara come su Vercelli e la capitale, oppure su Alessandria o Casale.

A difesa del capoluogo lomellino si schierarono le brigate Aosta e Regina; la prima tra la frazione Medaglia e il cavo Passerini, a circa 300 metri e parallelamente alla strada provinciale Mortara - Pavia; la seconda dal cavo Passerini alla cascina S. Albino e di qui ripiegata verso la strada per S. Giorgio Lomellina. La brigata era schierata su due linee: in prima schiera vi erano il I battaglione del 9° fanteria e una batteria d’artiglieria, il II battaglione dello stesso reggimento e un’altra batteria, quindi il III battaglione con una batteria. La seconda schiera era costituita dal 10° reggimento fanteria con il I battaglione che sbarrava la strada provinciale, il III a guardia della strada per S. Giorgio e il II in riserva. Attorno alla frazione Medaglia si trovavano vari squadroni del reggimento “Nizza Cavalleria” appiedati, mentre qualche drappello di cavalieri era in avamposto fra i Casoni di S. Albino e Remondò. Ma mentre i Piemontesi prendevano queste posizioni, l’avanzata degli Austriaci si svolse indisturbata da Garlasco a Tromello e da Tromello a Mortara. Verso le 16:30 cominciò la battaglia con uno scontro fra Ussari austriaci e gli avamposti di “Nizza Cavalleria” ai Casoni di S. Albino.

Alle 17 l’artiglieria austriaca cominciò il tiro contro i battaglioni piemontesi del 9° fanteria che costituivano il fronte allungato dal cavo Passerini a S. Albino, accanendosi particolarmente contro il battaglione che sbarrava la strada; il reparto subì un parziale sbandamento. Nel complesso la reazione piemontese fu debole ed incerta; non mancarono resistenze veramente eroiche, ma frammentarie e slegate. La circostanza fu subito sfruttata dal nemico che verso le 18 partì in assalto generale su quattro colonne. L’urto fu sostenuto soprattutto dal I e dal II battaglione del 9° fanteria, rimasti costantemente sulla linea del fuoco. Il reparto, che operava sulla strada provinciale allo scoperto, dovette cedere alla pressione avversaria e ripiegare. Durante questa fase della battaglia si segnalarono per determinata abnegazione e coraggio due semplici artiglieri. Per proteggere alla meglio il ripiegamento fu collocato sulla strada provinciale, press'a poco dove sorge oggi la colonna commemorativa, un cannone al cui servizio furono comandati i soldati G.B. Napoli e Giuseppe Minghetti con l’ordine di non abbandonare il posto per nessuna ragione e di sparare sul nemico fino all’esaurimento delle munizioni. I due artiglieri eseguirono l’ordine intrepidamente cadendo sul posto. I loro nomi sono ricordati sulla base del monumento che ricorda la battaglia. Le colonne austriache sviluppavano intanto il loro attacco verso S. Albino, la tenace e battagliera destra dello schieramento piemontese, e lungo la provinciale, contro il 2° e il 3° battaglione del 9° fanteria che ordinatamente dovettero cominciare il ripiegamento. La lotta divampò quindi accanita davanti alla porta detta di Milano che si apriva nelle mura che allora ancora racchiudevano la città. Vinta la resistenza anche degli accorsi rinforzi, gli Austriaci entravano in città verso le ore 20:30. I difensori piemontesi, peraltro, si ritiravano gradualmente con le armi alla mano e poterono alla fine disimpegnarsi e riunirsi ad altri reparti. Ormai, però, i corpi piemontesi avevano perduto ogni collegamento e la battaglia si dissolse in tanti scontri parziali, alcuni mirabili per eroismo, ma purtroppo nulli ai fini di un successo militare.

Gli Austriaci dilaganti per la città furono improvvisamente attaccati da due squadroni del reggimento “Nizza Cavalleria” che, galoppando e sciabolando nelle vie cittadine, riuscirono a ricongiungersi alle truppe che presso Porta Novara stavano organizzando la ritirata. Continuava a resistere S. Albino, difeso dal I battaglione del 9° fanteria sostenuto da due cannoni. Minacciato di aggiramento, il battaglione dovette ritirarsi, ma per riattaccare poco dopo reinsediandosi vittoriosamente nella contesa posizione. Un nuovo assalto, condotto però dal nemico con altri reparti frattanto accorsi, costrinse i bravi difensori a ritirarsi definitivamente, seppure in ordine e con frequenti contrattacchi. Verso le ore 21 tutte le forze rimaste a levante della città si riunirono per portarsi ad occidente e quindi a salvamento. L’attraversamento a viva forza della città occupata diede luogo ad un combattimento notturno di rara violenza nelle vie e nelle piazze. Solo una cinquantina di Piemontesi riuscì a portarsi fuori dall’insanguinata città. Altri reparti che cercarono di unirsi a questa temeraria colonna furono catturati dal nemico ormai padrone di tutto l’abitato. Si concludeva così una sfortunata battaglia, premessa a quella decisiva di Novara. I Piemontesi ebbero 500 morti e circa 2.000 prigionieri; gli Austriaci persero circa 300 uomini tra morti e feriti.

Il testo di questa pagina è stato estratto dalla pubblicazione “Battaglie e fatti d’armi del Risorgimento in Provincia di Pavia” di Marziano Brignoli (ed. Ente Provinciale Turismo di Pavia, febbraio 1983).