L’età del Bronzo

(2000 a.C. - 900 a.C.)

Uno dei momenti più significativi della storia antica della Lomellina è l’età del Bronzo (2000-900 a.C.). In questo arco di tempo, ma soprattutto tra il 1600 e il 1200 a.C., la Lomellina è costellata da tanti piccoli centri a produzione agricola, che godono di uno straordinario benessere e che divengono centri di contatti e di scambi. Il quadro che emerge appare caratterizzato dall’esistenza di una serie di abitati di una certa consistenza, relativamente omogenei fra di loro, i cui abitanti sono quasi esclusivamente dediti alle forme primarie dell’attività produttiva, quali l’agricoltura e l’allevamento. La media e tarda Età del Bronzo, in particolare, sono per la Valle Padana e, quindi, anche per la Lomellina, un periodo di continua crescita economica e culturale.

Lo dimostra, innanzi tutto, l’espansione demografica, testimoniata dalla frequenza degli abitati di questo periodo, che non ha riscontro in nessun altro momento della preistoria, fatto che rivela una precisa situazione di incremento demografico.

La Lomellina, in questo periodo, è caratterizzata da una fitta serie di abitati, dislocati lungo i terrazzi fluviali del Ticino, del Terdoppio e dell’Agogna. Lungo il Ticino, in particolare, abbiamo un susseguirsi ininterrotto di villaggi tra San Martino Siccomario e Vigevano (Buccella), tra i quali acquista una posizione di rilievo e di sviluppo l’abitato di Garlasco (Boffalora). I villaggi lungo il Ticino hanno una durata ininterrotta di almeno trecento anni. Lungo il Terdoppio notiamo due principali concentrazioni abitative: a sud spiccano i siti di Dorno, Scaldasole, Valeggio, Zinasco, dove troviamo le fogge ceramiche più antiche e dove la vita si esaurisce durante la media Età del Bronzo. Più a nord, tra Gambolò (Cavo Busca), Garbana (Dosso della Guardia), fino a nord di Gravellona, gli stanziamenti, che hanno estensione più limitata, proseguono, però, fino all’Età del Bronzo finale. Lungo l’Agogna ricordiamo Castelnovetto-Cascina Gilardona, Ceretto-Cascina Olai e Nicorvo (Cascina Palazzo).

Il rinvenimento il Lomellina di ripostigli con oggetti di metallo integri, quali asce, collari e bracciali (a Pieve Albignola, Robbio, Torrazza di Borgo San Siro) o con pani di metallo e oggetti rotti (a Semiana) non in connessione con i centri allora abitati, fa pensare che la figura dell’artigiano metallurgico non fosse caratteristica di un determinato villaggio, ma fosse itinerante. Proprio questi ripostigli danno l’impressione che esistesse un vivo commercio di oggetti in bronzo, forgiati da specialisti in un tipo particolare di strumento. Appare chiara, inoltre, l’esistenza di vie commerciali e di comunicazione, una delle quali senza dubbio si era sviluppata lungo il corso del Ticino e del Po. Forse venivano fusi sul luogo solo gli spilloni, gli anelli ed i braccialetti, che costituiscono gli unici oggetti di ornamento dei Lomellini dell’Età del Bronzo. Una forma di fusione per spilloni, ad esempio, è stata rinvenuta nel villaggio di Gropello: un particolare interessante è che una identica forma per fusione è stata trovata nell’abitato palafitticolo di Viverone. Gli spilloni dovevano probabilmente servire per fermare tuniche e mantelli. Tutti gli altri oggetti di uso quotidiano erano prodotti generalmente sul luogo, o almeno all’interno di una piccola Comunità soprattutto l’enorme quantità di vasi di argilla, che venivano usati e continuavano a rompersi nel corso degli anni.

I vasai fabbricavano i recipienti da forme tondeggianti di argilla e li cuocevano con grande abilità. Sicuramente nelle vicinanze del villaggio era reperibile un tipo di argilla adatta a questo scopo, che veniva depurata e fatta decantare in una fossa. Come dimagrante in Lomellina veniva impiegata la sabbia, essendo un materiale di immediata disponibilità, affinché i recipienti, essiccandosi, non si spezzassero e si deformassero. Nei vasi si potevano conservare il grano ed i cereali, cuocere il cibo, far bollire gli alimenti, mangiare e bere. Molto progredito era anche l’artigianato del legno.

Ma come vivevano i nostri antenati di quel tempo? Le capanne, a pianta rettangolare o circolare, erano sempre in posizione elevata sui terrazzi fluviali o su dossi e presentavano un’ossatura di pali di legno. Erano estremamente importanti quattro pali angolari e due pali di sostegno delle travi di sommità. A seconda della grandezza, ci potevano essere ancora due pali laterali, per aumentare la stabilità delle pareti. Per la costruzione delle pareti si offrivano diverse possibilità. Poteva essere usato il sistema ad intelaiatura, nel quale travi orizzontali, o sistemate obliquamente, costituivano il collegamento tra i pali di sostegno; gli spazi intermedi venivano riempiti con graticcio e argilla. Oppure si potevano chiudere gli spazi tra i pali con assi o piccoli rami. A tale scopo era necessario che i rami fossero opportunamente provvisti di un sistema di incastri, perché non erano ancora in uso i chiodi. Le fessure dovevano essere chiuse con argilla. Lo stesso valeva anche per una costruzione interamente di tronchi d’albero, nella quale le fessure tra i tronchi venivano chiuse allo stesso modo. I pavimenti erano costituiti o da argilla battuta, talvolta su un fondo di ciottoli, oppure di assi di legno; per costruire il tetto si poteva scegliere tra la paglia, le canne palustri, gli assi di legno o persino la corteccia degli alberi. Il focolare era costituito da semplici pietre, più o meno accuratamente disposte.

Attorno al villaggio l’uomo aveva aree opportunamente disboscate per l’agricoltura. I solchi, dove venivano gettati i semi commestibili, venivano fatti con zappe in corno cervino. I semi noti in questo periodo sono: due varietà di grano, l’orzo, il miglio ed il lino. La mietitura veniva praticata per mezzo di falcetti, costituiti in un primo tempo da una massiccia armatura a semiluna di osso o di legno e da un tagliente realizzato attraverso una successione di lamelle in selce. Dalla tarda Età del Bronzo, in seguito ai progressi della metallurgia, le falci venivano realizzate interamente in bronzo.

Con l’agricoltura, l’allevamento costituiva l’attività principale del villaggio. Le specie più rappresentate erano la capra, la pecora, il bue, il maiale. Dopo essere state le fonti primarie nelle età precedenti, la raccolta, la caccia e la pesca non erano certamente passate in disuso. Tra i prodotti di raccolta vi erano il corniolo, le nocciole, le ghiande, i semi di sambuco, i frutti della vite selvatica, ecc. L’uomo poteva ricavare da essi conserve e sciroppi, bevande fermentate e medicinali. La caccia veniva praticata utilizzando l’arco di legno e le frecce di selce. Il ritrovamento di armi, arpioni, punte di freccia, testimonia la pesca lungo i fiumi.

Pesi da telaio e fusarole in terracotta confermano che l’uomo portava vesti e tessuti di lana e di lino. Poco si può dire della foggia delle vesti e dell’aspetto dell’uomo dell’Età del Bronzo, perché la conservazione dei materiali dipende dal tipo di terreno in cui essi si trovano: terreni particolarmente acidi, come sono quelli lomellini, possono distruggere tutti i materiali organici. Per poter ottenere informazioni più dettagliate dobbiamo rifarci ai ritrovamenti avvenuti nelle torbiere dell’Europa del nord, che hanno fornitoi maggiori esempi di conservazione dell’uomo dell’Età del Bronzo.

In Danimarca, ad esempio, sono stati rinvenuti corpi umani estremamente ben conservati, con addosso ancora i loro vestiti, gettati nelle paludi o deposti in tombe dell’antica Età del Bronzo, con sarcofaghi di tronchi d’albero. Uno dei casi più famosi di corpi rinvenuti in una torbiera è quello del cosiddetto uomo di Tollund, trovato negli anni quaranta di questo secolo. La sua scoperta destò una grande sensazione: per la prima volta si riusciva a vedere in faccia un uomo, presumibilmente dell’Età del Bronzo. Oltre a conoscerne l’aspetto e l’abbigliamento, sappiamo anche quale fu il suo ultimo pasto: un pasto vegetale, a base di erbe coltivate e no, tra cui orzo, avena e lino.

Quasi altrettanto ben conservati sono i defunti deposti entro un tronco d’albero dell’antica Età del Bronzo. Anche in questi casi si sono conservati parte dei tessuti molli, i capelli ed i vestiti: gli uomini in genere indossabvano una sorta di tunica ed un mantello con cappuccio, le donne una blusa con le maniche ed una gonna lunga o, nel caso di donne giovani, corta. Una giovane donna aveva un vestito di lana marrone naturale, non tinta. Per filare venivano utilizzate una conocchia (un semplice bastone all’estremità del quale erano fissate a mo’ di nastro le fibre che bisognava filare) ed un fuso costituito da una verghetta in legno appuntito alle estremità. Nell’estremità inferiore veniva infilata una fusarola, che aveva la funzione, con il suo peso, di mantenere verticale il fuso.

Con l’inizio dell’Età del Bronzo finale, lo sviluppo culturale degli antichi lomellini si arresta: assistiamo, infatti, al quasi completo abbandono di tutti i principali villaggi e dalla Lomellina scompare qualsiasi traccia di frequentazione; il motivo di questo fatto non è chiaro, ma possono solo essere azzardate alcune ipotesi, come la concentrazione di interessi economico-politici e di aggregazioni demografiche nella zona di Golasecca-Sesto Calende-Castelletto Ticino, attorno all’uscita del Ticino dal Lago Maggiore. Certo è, invece, che in quel periodo l’Europa è sconvolta da grandi mutamenti, che, culturalmente, si identificano col passaggio dall’inumazione all’incinerazione dei morti e con la graduale sostituzione del bronzo col ferro.