Di natura alluvionale, la Lomellina è formata da sedimenti e materiale di trasporto, convogliati in un primo tempo da grandi ghiacciai nell’epoca quaternaria e in seguito trascinati e accumulati dai corsi d’acqua delle Alpi e degli Appennini. Questi materiali, in buona parte sabbiosi, con strati arenosi, argillosi e in parte anche ghiaiosi e quindi di diverse permeabilità, si sovrapposero e mentre nel sottosuolo originarono falde ricchissime di buona acqua, la superficie rimase sabbiosa, piana, con alcuni dossi e rialti di poca elevazione.
L’uomo fa la sua comparsa in Lomellina nel Mesolitico Recente (5500-4500 a.C.), in quel periodo di transizione tra il Paleolitico ed il Neolitico che vede profonde modifiche nel clima (si assiste ad un progressivo aumento della temperatura, con inverni freschi ed estati prima asciutte, poi più umide), nella flora (presenza nelle pianure del querceto misto) e nella fauna (rappresentata da ridotti branchi di animali adatti alla foresta e alla macchia, quali caprioli, cervi, buoi selvatici e cinghiali).
È chiaro che questo radicale mutamento influisce sui gruppi umani, che tendono a frazionarsi in piccole comunità mobili, per meglio adattarsi alle condizioni ambientali. Mentre alcuni gruppi di cacciatori continuano, come nel periodo precedente, la vita sulle montagne, vivendo sulle battute di caccia, altri gruppi (tra cui i primi abitanti della Lomellina) si insediano nelle valli e giungono in pianura. Il mutamento delle abitudini di vita rispetto al Paleolitico Superiore è, quindi, dovuto alle nuove attività legate alla caccia minore, alla raccolta, all’uccellagione. Se i cacciatori paleolitici erano nomadi, i mesolitici ora si adattano solo a migrazioni stagionali, fatto che dà inizio ad una progressiva sedentarietà.
L’economia dei gruppi umani mesolitici, probabilmente aggregazioni di piccoli nuclei a carattere familiare, non si basa più soltanto sulla caccia, ma comprende anche la raccolta di frutti selvatici e di molluschi d’acqua dolce e di terra, la pesca, la ricerca di nidi d’uccelli da cui prendere le uova o di tartarughe di lago, allora frequenti. La comparsa e la domesticazione del cane ha inizio proprio in questo stesso periodo. È importante sapere che i molluschi costituivano un’importante fonte di cibo per gli uomini preistorici, che ne utilizzavano spesso i gusci (conchiglie) per ricavarne oggetti decorativi (come pendagli e collane). Il rinvenimento dei gusci di questi piccoli animali marini, d’acqua dolce o terrestri, permette, inoltre, la conoscenza delle condizioni ambientali del periodo in cui sono vissuti: acque stagnanti, maggiore o minore umidità del terreno. La zona scelta dagli antichi lomellini come sede dei primi stanziamenti è il terrazzo destro del Terdoppio, tra Garbana (Dosso della Guardia) e Gravellona (Il Castagno). Gli uomini si stabiliscono così sui dossi, che rappresentano i punti più elevati.
È un territorio ricco di risorgive, quindi ben adatto alle esigenze vitali dei vari gruppi: prossimità dell’acqua per bere, per scuoiare gli animali, per lavarsi, ecc. Le abitazioni vengono sistemate sui punti sopraelevati, per evitare impaludamenti e per avere la possibilità di sorvegliare la pianura circostante. Si tratta di modeste capanne, sorrette da pali e con pareti esterne costituite da frasche, canne e pelli. I gruppi Mesolitici probabilmente si stanziano stagionalmente più o meno nelle stesse località, ritornando puntualmente nello stesso luogo a certi intervalli. L’ubicazione sul terrazzo destro del Terdoppio, in una zona pianeggiante e ben esposta è, di conseguenza, adatta per passare l’inverno.
Per utilizzare tutte le risorse che la zona può dare si sviluppano nuove tecniche e si realizzano nuovi strumenti. Gli strumenti litici prodotti sono prevalentemente trapezi, usate come punte di freccia anche a tranciante trasversale, per infliggere vaste ferite, tali da dissanguare la preda o, in caso di volatili, da provocare maggior danno a causa della più ampia superficie d’impatto. Sono stati rinvenuti trapezi a Gravellona (Il Castagno) ed a Vigevano (La Cascinassa). Questi oggetti minuti vengono fissati con mastiche (resine impastate d’argilla) nelle fenditure laterali di bacchette di legno o nella parte terminale di queste mediante legacci. Vengono, inoltre, usate come ami da pesca e per fabbricare arpioni e zagaglie, simili a quelli usati, per le stesse attività, dalle popolazioni primitive attuali. I grattatoi ed i bulini (ben attestati anche nel nostro territorio) sono usati, rispettivamente, per sgrassare pelli e per incidere le ossa.
Non ci sono dati sufficienti per conoscere le abitudini di vita degli antichi lomellini durante il periodo Neolitico (4500-3000 a.C.) ed Eneolitico (3000-2000 a.C.). Per quanto riguarda il Neolitico (caratterizzato dal passaggio dallo stadio culturale basato sulla caccia / pesca / raccolta a quello basato sull’allevamento e la coltivazione, con le innovazioni tecnologiche del cuocere la ceramica, plasmare i vasi e levigare la pietra) i reperti sono solo in pietra verde levigata, rinvenuti a Cassolnovo ed a Gravellona. È noto, tuttavia, da ritrovamenti effettuati in villaggi non molto distanti dalla nostra zona, che la carne consumata proveniva quasi esclusivamente dall’allevamento: maiale, pecora, capra e manzo. Si apprezzava anche il pesce, mentre la caccia, in prevalenza al cervo, era di minore importanza.
I contadini macellavano dal tardo autunno fino alla primavera, da una parte perché frutta e verdura in inverno esistevano solo seccate o conservate in altro modo, dall’altra perché occorrevano molte provviste per nutrire il bestiame d’allevamento. Le mucche giovani non si macellavano praticamente mai, perché fornivano il latte ed assicuravano il ringiovanimento della mandria. Tra tutte le piante trovate, sette erano coltivate: alcuni tipi di frumento, orzo, lino, papavero, piselli (ma il frumento era il più importante). Lino e papavero erano innanzi tutto piante olifere ed il lino, inoltre, forniva fibre apprezzate. Numerose erano le piante ed i frutti selvatici raccolti: mele, bacche, nocciole, ghiande, aglio ursino, insalata di campo, maggiorana e melissa.
Un po’ più documentato in Lomellina è l’Eneolitico (o Età del Rame) con reperti vari e sporadicamente sparsi su tutto il territorio. Essi vanno dall’ascia in pietra verde levigata di Vigevano (Piccolini), ai pugnali litici di Vigevano (Morsella) e di Garlasco, al pugnale triangolare in rame di S. Martino Siccomario, all’inumato di Gambolò (Cascina Cernaia), al vaso campaniforme di Garlasco (Boffalora). Sappiamo, dai dati emersi nell’Italia settentrionale, che i portatori della moda del vaso campaniforme prediligevano insediamenti all’aperto lungo il corso dei fiumi e abituti in posizioni dominanti le vie di comunicazione (proprio come è il caso di Garlasco). Avevano, inoltre, una particolare attenzione per i defunti, che si esprimeva nella realizzazione di tombe scavate nella nuda terra (con l’inumato, di solito, in posizione rannicchiata con i consueti corredi d’accompagnamento) e ricoperti da una specie di tettoia lignea.
Abbiamo anche qualche dato sulle loro attività economiche, che vanno da un’agricoltura varia ed intensiva (il frumento è il cereale più rappresentato, seguito dall’orzo, dal farro e dal miglio), ad un potenziamento dell’allevamento legato principalmente ai bovini, in quanto l’uso di questi animali è fondamentale per la tradizione dell’aratro. L’aumento in percentuale dei caprini e degli ovini sembra essere giustificato, oltre che dallo sfruttamento del latte, da una forte richiesta di lana nell’ambito delle produzioni tessili. L’abbondante aumento di semi di corniolo, insieme ad altri frutti (pruno, melo, vite selvatica, sambuco), si potrebbe collegare alla preparazione di bevande alcoliche: i vasi campaniformi usati per questo consumo, ci fanno pensare, con un pizzico di fantasia, a genti allegre e dedite a robuste libagioni.