Altero e sprezzante, il generale austriaco Gyulai afferma di essere “certo di schiacciare l’esercito sardo prima che giungano i francesi” ed intanto concentra più di centomila soldati alla frontiera con la Lomellina. Pavia viene fortificata, guarnita in maniera speciale. Il 23 aprile, l’impero austriaco lancia un arrogante ultimatum al Piemonte, chiedendo il disarmo totale ed immediato e lo scioglimento dei corpi volontari. Il Piemonte replica duramente. È la guerra.
Gyulai non attende altro. In due giorni getta quattro ponti sul Ticino, passa il fiume con 100.000 uomini e irrompe in Lomellina. L’esercito piemontese, intanto, che attende il corpo di spedizione di Francia, comandato dallo stesso Napoleone III, si tiene sulla difensiva. I territori della Lomellina e dell’Oltrepò, invasi dall’esercito di Gyulai, vengono crudelmente taglieggiati. La rapacità austriaca si fa sentire soprattutto in Lomellina, dove, come annotano i cronisti, “viene depredata miseramente ogni borgata, ogni casolare”. Il generale austriaco non può indovinare quale sia il piano dei franco-piemontesi e non osa attaccare a fondo e muovere decisamente su Torino; si limita, così, a mantenere continuamente le proprie truppe in movimento, sul suolo piemontese.
Il primo scontro avviene a Zinasco, il 29 aprile, quando i cavalleggeri piemontesi affrontano, in un combattimento breve e rabbioso, gli ussari austriaci. Gli italiani perdono un uomo, gli austriaci, che devono ritirarsi, tre.
Il Gyulai, continuando le sue marce, visita numerosi paesi della Lomellina, operando ovunque pesanti requisizioni, lasciando alle sue spalle lacrime e sangue ed una scia di violenze. Il 1° maggio uno squadrone di ussari irrompe in Mede imponendo alla cittadinanza la consegna di enormi quantità di viveri; in aggiunta, si abbandonano anche al saccheggio.
Il 20 maggio forze austriache provenienti da Piacenza avanzano in ricognizione su Voghera. Il comandante austriaco, il generale Urban, proseguendo la sua marcia giunge a Casteggio: “Dove sono questi piemontesi?”, dice nel suo pessimo italiano, “Dove sono questi francesi? Sono forse nelle nubi?”. La stessa domanda è nel cuore della popolazione, che assiste al passaggio dell’esercito austriaco. È maggio ormai. Dove sono i soldati?
Sono là, a poche miglia. Dopo Casteggio, schierati in una linea sottile dal villaggio di Montebello fino al Po, vi sono alcune centinaia di cavalieri piemontesi. A Voghera stanno settemila francesi. Poche forze: il grosso dell’esercito è concentrato più a nord.
L’avanzata austriaca prosegue e i piemontesi, sguainata la sciabola, caricano mentre sopraggiungono di corsa i francesi a dar manforte. Si combatte rabbiosamente e gli austriaci devono ritirarsi. Via da Montebello, via da Casteggio. Indietro, indietro, fino al Po, oltre il Po. La sera del 20 maggio non vi è nessun austriaco al di qua del grande fiume.
Nei giorni seguenti, ingannato dalle manovre franco-piemontesi, il Gyulai costringe le sue truppe a continue, lunghe, estenuanti marce di trasferimento. Si attende un attacco su Piacenza. I piemontesi invece attaccano a nord, varcando il Sesia presso Vercelli e penetrando in Lomellina. Il piano di Napoleone III, che ha assunto il comando supremo, è quello di raggiungere direttamente Milano da ovest. Mentre il grosso dell’esercito francese varca il Sesia, i piemontesi si dispongono, a copertura, attorno a Palestro: qui si combatte la prima grande battaglia della guerra.
È la mattina del 30 maggio 1859.
Piove. Un velo grigio e sottile si stende per l’aria quieta della Lomellina. L’acqua grigia delle risaie, battuta dalla pioggia, riflette un cielo chiuso, senza azzurro, un cielo triste e cupo.
Piove. Immobile sul suo grande cavallo, Vittorio Emanuele II assiste al passaggio del Sesia da parte di quattro divisioni del suo esercito. I soldati, sfilando davanti a lui, lo salutano con grida di entusiasmo. Sanno che quello è un momento fatale per la guerra: il momento in cui inizia l’offensiva.
Agli ordini del generale Cialdini, i piemontesi, forti di 10.800 fanti e di 100 cavalleggeri, puntano su Vinzaglio e Palestro per occuparli. La pioggia ha gonfiato il Sesia, fatto straripare le risaie. Il terreno è tutto allagato. Solo i rialzi e le strade emergono, stagliandosi come su un grande specchio grigio.
Sulla strada provinciale che costeggia il fiume, avanzano i bersaglieri del 6° e 7° battaglione: cercano il nemico.
Gli austriaci si sono arroccati in Palestro: hanno alzato a due chilometri dal paese una barricata e da essa aprono un fuoco improvviso contro l’avanguardia dei bersaglieri. È un attimo: la fanfara suona, i bersaglieri si lanciano alla carica, giungono alla barricata, travolgono i difensori; dietro arrivano, trascinati da cavalli, due cannoni che febbrilmente vengono posti in batteria. E la battaglia comincia.
L’artiglieria austriaca apre il fuoco. Le giubbe bianche hanno posto i loro cannoni in modo da spazzare la strada. I piemontesi si vedono investiti da un fuoco micidiale, devono gettarsi fuori dalla via provinciale. Ma tutto attorno vi è fango ed acqua. Avanzando su quel terreno impossibile i bersaglieri si avvicinano al nemico. Si arrestano davanti agli avamposti, protetti da profonde rogge gonfie di acque limacciose. È quasi impossibile farsi avanti; i bersaglieri provano una, due, tre volte e sempre sono respinti. Ma finalmente la 25a compagnia con una carica travolgente riesce a passare. Gli austriaci si ritirano in disordine. Alle tre e mezzo, dopo aspri combattimenti tra le case, i piemontesi conquistano Palestro.
Scende il silenzio. L’armata francese attraversa il Sesia in una interminabile colonna rossa e blu; continua a piovere.
Viene la sera, ma nessuno dorme. Gyulai non abbandonerà la partita e certamente il generale austriaco tenterà con ogni mezzo di piombare sul fianco dell’armata francese che varca il fiume. È una grande occasione.
Infatti, il giorno dopo, il 31 maggio, Gyulai attacca. Ai suoi soldati egli ha dato la parola d’ordine: “riprendere Palestro”. Riprenderlo ad ogni costo, assalire i francesi, gettarli nel Sesia. Le giubbe bianche muovono all’attacco su tre colonne. Una a nord, verso Confienza; una al centro, diretta al cuore dello schieramento piemontese; una a sud, per risaie e marcite lungo il Sesia.
Al centro il generale Zobel sferra un colpo formidabile; i piemontesi si sbandano ma solo per un attimo. Zobel non avanza. A nord attacca il generale Weigle puntando su Confienza: ha la stessa sorte. A sud attacca il generale Szabo. La sua colonna con alcuni cannoni giunge dopo una marcia faticosa sull’unico ponte del luogo, il ponte della Brida. I piemontesi, che non si attendono un attacco in quel punto, si fanno sorprendere. Szabo, padrone del campo, può vedere le truppe francesi che varcano il Sesia e, sulla destra oltre una distesa di terreno inondato, le prime case di Palestro. Egli esita. Che fare? I campi verso il paese sono circondati da una roggia profonda e limacciosa, la Gamarra, e l’unico ponte, l’unica via di ritirata è il ponte della Brida. L’impresa è arrischiata, ma Szabo tenta.
Gli austriaci passano il ponte, avanzano verso Palestro, occupando la cascina San Pietro. Si fanno avanti, cominciano a sparare sulle prime case. Se riescono a conquistare il paese, avrebbero sconvolto tutta la difesa nemica. Ma i piemontesi comprendono. Vittorio Emanuele II dall’alto del campanile di Palestro li vede e si getta per le scale, balza sul suo cavallo e corre alla battaglia seguito dai suoi generali.
Intanto il 3° reggimento di zuavi francesi ed il 7° Reggimento Bersaglieri, dislocati lungo il Sesia, si sono lanciati all’attacco del ponte della Brida. I cannoni austriaci sparano a mitraglia e falciano crudelmente i francesi, ma non possono fermarli.
Mentre Vittorio Emanuele II, seguito dai suoi ufficiali, si porta sulla linea del fuoco, uno zuavo gli grida: “Ritiratevi, sire, qui c’è pericolo!”. “Qui c’è gloria per tutti!” risponde il re.
L’urto sul ponte è tremendo. Gli austriaci difendono con disperato valore la loro via di ritirata; la lotta corpo a corpo è violenta e sanguinosa. Le acque della roggia Sartirana, sulla quale gli zuavi portano un duro colpo, si tingono di rosso, ricevono i corpi degli austriaci caduti, di coloro che cercano una via di scampo; Szabo perde i suoi cannoni. Deve ritirarsi. La ritirata si trasforma in una fuga precipitosa. La rotta austriaca è completa.
Alle 2 pomeridiane gli austriaci si ritirano lasciando sul campo 800 prigionieri, oltre agli annegati nel canale e uccisi sul campo. La vittoria costa cara anche ai vincitori, i soli zuavi hanno 350 uomini fuori combattimento ed i piemontesi da 800 a 1.000.
Il Bollettino di Guerra del 31 maggio 1859, ore 11 pomeridiane recita: “Alle 7 di stamane 25.000 austriaci hanno tentato di ripigliare Palestro. Il re con la IV Divisione comandata da Cialdini e con il III Reggimento Zuavi resistette lungamente. Quindi prendendo l’offensiva respinse verso le ore 2 il nemico e lo inseguì per lungo tratto. Le perdite austriache sono grandissime”. Quella stessa sera, mentre ancora il campo di battaglia, cosparso di morti, fuma sinistramente, gli zuavi francesi, ammirati dall’eroismo di Vittorio Emanuele II, corso al centro della battaglia coi suoi generali, vanno da lui, che dorme, lo destano e lo nominano loro “caporale d’onore”.
La vittoria di Palestro arreca, oltre ad un danno militare, un grave colpo allo spirito dell’esercito austriaco: è chiaro che l’iniziativa è passata ai franco-piemontesi. La Lomellina è sgomberata.
L’immagine e il testo di questa pagina sono tratti da “Pavia e i suoi territori nel risorgimento d’Italia” di Mino Milani (1959).