Secondo alcuni storici il toponimo sarebbe apparso nell’evo longobardo, durante il quale avrebbe avuto inizio un primo significativo sviluppo del centro abitato. Deve il suo nome probabilmente a “Valigium”, parola composta da “Via Regia”: qui infatti passava un ramo dell’antica strada romana detta Romea. Altri storici fanno derivare il nome da “Vallioium”, piccola valle, che venne poi storpiato in Valeggio probabilmente per qualche errore degli amanuensi.
I primi insediamenti umani nella zona si verificano nella media e tarda età del bronzo, come attestano i numerosi, ricchi reperti archeologici rinvenuti nella zona. La romanizzazione interessa direttamente il luogo: la plaga tra Alagna e Valeggio viene attraversata dal percorso di quella via Regina che da Ticinum (Pavia) porta a Laumellum, donde prosegue per Cuttiae, Augusta Taurinorum (Torino), quindi verso le Gallie. A conferma del passaggio della strada romana, sono 207 le tombe romane che formano la cosiddetta Necropoli di Valeggio.
Non vi sono dati certi circa l’erezione della primitiva rocca; la storia del castello di Valeggio, ancora in gran parte oscura, si identifica con la storia del paese, minuscolo abitato di poche centinaia di anime di origini e abitudini quasi esclusivamente rurali, raccolto intorno ai due cardini di una società e di una vita ancora legate all’archetipo medievale, la Chiesa e il Castello. La costruzione della fortezza viene ritenuta, almeno in parte, ducentesca, poiché è nota una rocca di Valeggio espugnata dai milanesi nel 1213; gli stessi saccheggiano una seconda volta il paese nel 1222. Il paese, parte del feudo di Ottobiano, viene dato da Filippo Maria Visconti ai Birago nel 1434 e in seguito perviene agli Arcimboldi, che detengono il titolo comitale e ai quali rimane fino al 1675. Nel 1796 parte dell’armata austriaca, in rotta dopo le sconfitte subite dai francesi di Napoleone a Montenotte e Millesimo, si ritira in Valeggio.
L’attuale paese, formato in gran parte da cascinali, accoglie il visitatore con l’inconfondibile ed imponente mole del duecentesco Castello , che domina il centro abitato. Le sue torri, ben sette, non sono distribuite regolarmente, come di solito avviene, lungo il perimetro esterno, ma disposte in modo abnorme: tre sul solo lato meridionale, una (in cui trova collocazione l’ingresso) su quello rivolto a ovest, due nella zona centrale del maschio e una sola, l’ultima, sul lato ovest. All’aspetto arcigno e compatto, da edificio ben protetto, del lato sud, si contrappone una maggior morbidezza di linee, quasi da edificio rurale, del settore che si protende verso nord-ovest. Sopra l’attuale ingresso, insieme ad un affresco in pessime condizioni, è posto uno stemma nobiliare scolpito su lastra di marmo bianco, nel cui angolo in alto a sinistra è ancora leggibile la data 1354, presumibilmente relativa a una ricostruzione o a un rimaneggiamento dell’edifico preesistente. Lo stile del complesso è eterogeneo. Il torrione da cui si accede all’interno dell’edificio è costituito da un corpo di fabbrica avanzato, appartenente a una tipologia molto diffusa in Lomellina (ad es. Villanova, Pieve del Cairo, Tortorolo, Frascarolo), nel quale sopravvivono le sedi dei bolzoni del ponte levatoio principale, di quello pedonale e della pusterla stessa, alla destra dell’ingresso carraio. La sommità è conclusa da una loggia - che poggia su beccatelli con caditoie - in cui si aprono quattro finestre arcuate a tutto sesto, mentre non sono osservabili tracce di merlatura. Le due torri angolari del lato sud - il più corto - sono di forma cilindrica, con caratteristiche dimensionali diverse per altezza e diametro, coronate nella parte sommitale da lunghi beccatelli nei quali, come nel rivellino d’ingresso, sono visibili le aperture della caditoie, a dimostrazione dell’origine effettiva, cioè difensiva, delle torri stesse. Fra queste, al centro della parete si alza una terza torre, quadrata e più piccola, che presenta però le stesse particolarità architettoniche; le tre torri mostrano nella parte terminale, coperta da un tetto, in luogo dei merli, delle aperture, in parte tamponate, difformi nello stile dal resto dell’edificio, probabilmente di datazione posteriore. Meno significativi i settori settentrionale e nord-occidentale, apparentemente ricostruiti in età moderna seguendo schemi di architettura rurale. L’angolo di nord-ovest è munito di torre cilindrica, priva però di aperture o altre caratteristiche degne di nota. Il piccolo cortile è dominato dalla mole dell’alta torre interna, sovrastata a sua volta da un campaniletto, quadrato come il sottostante corpo maggiore. Sul lato volto a oriente un secondo torrioncino costituisce l’unica opera difensiva dell’ingresso secondario, aperto verso le campagne, in direzione di Alagna. Sulle pareti interne sono riconoscibili tracce di aperture centinate e occluse. Non resta alcun segno visibile del fossato del castello, la cui antica esistenza è provata dalle tracce del ponte levatoio. Un accenno di carpatura alla base delle torri dimostra come il terreno circostante abbia subìto un interramento di rialzo.
Nel corso degli anni la costruzione riceve, nelle sue imponenti sale, grandi personaggi, tra i quali Francesco I, Carlo V e certamente Gian Pico della Mirandola, che, diciassettenne, inizia qui i suoi studi. Appartiene ad illustri famiglie della nobiltà italiana, quali i Malaspina, gli Arcimboldi, i Busca, i Sormani. Molto spesso segue le sorti del vicino castello di Scaldasole, a cui, secondo una leggenda, era collegata da un lungo sotterraneo. Il complesso attende da vari anni l’inizio delle ormai improcrastinabili opere di restauro.
La Chiesa parrocchiale (XVII sec.) è una graziosa chiesetta d’ordine etrusco dedicata ai Santi Pietro e Paolo. Il suo campanile ha una bella cupola conica.
E’ da segnalare, nel mese di giugno, la Festa Patronale, cui è associata la Sagra del Cucù.