Il paese sorge nella parte più meridionale della Lomellina, a brevissima distanza dalla riva sinistra del Po, in posizione strategicamente rilevante. Tale situazione geografica ha determinato, per il piccolo abitato, vicende storiche quanto mai movimentate, se non drammatiche. Già in età romana probabilmente esiste qualche forma di insediamento, come dimostrano i numerosi ritrovamenti archeologici rinvenuti in tutta la zona. Sempre per la sua ottima posizione, Frascarolo acquisisce successivamente sempre maggior importanza tanto da ospitare, nel medioevo, numerose opere fortificate.
Il paese è nominato per la prima volta in un documento datato 924, con il quale Ogglirio, vescovo di Lodi probabilmente tra il 924 e il 942, investe un certo conte Alberico e Aldramano (suo fratello) di alcune terre, tra le quali compare anche Frascarolo in Lomellina. In quell’epoca, come avviene per la maggior parte dei centri della Lomellina centrale, il paese fa parte del Comitato di Lomello la cui potenza, a partire dall’ultimo scorcio del secolo X, si va sempre più affermando nell’intera provincia. Intorno all’anno mille i conti Palatini - conti di Lomello - risiedono a Pavia, e godono di svariati privilegi, in parte onorifici, in parte pratici. Una sollevazione popolare nel 1024 li allontana da Pavia, e si ritirano nei loro possedimenti lomellini facendone una sorta di piccolo stato, difeso da un complesso sistema di rocche, castelli e torri di guardia. Frascarolo rappresenta uno dei punti di forza di questo sistema difensivo.
Dopo la pace di Costanza, i milanesi si abbandonano ad aspre ritorsioni nei confronti dei pavesi, che in quel tempo controllano quasi tutta la Lomellina. Dalla seconda metà del secolo XIII il potere e i domini palatini vengono aspramente contesi dai Beccaria; le alterne vicende belliche tra le due maggiori famiglie nobili pavesi permettono ai Palatini di rientrare nel 1295 in Pavia, da dove vengono nuovamente, e definitivamente, cacciati nel 1315 dalle truppe viscontee, alleate dei Beccaria. Sotto la signoria dei Visconti passa poi l’intera Lomellina, la cui conquista viene completata nel 1323 da Marco Visconti. Sicuramente in questa epoca viene eretto il castello di Frascarolo, definito “grande” da questo momento per distinguerlo da altri due fortilizi, andati distrutti nel corso delle precedenti guerre. Ma la pace è ben lungi dall’essere raggiunta. I soldati di ventura di Facino Cane, condottiero al soldo dei Visconti, nel 1404 radono al suolo il castello (insieme con altre fortificazioni lomelline, quali Pieve del Cairo ed Olevano), assicurando al proprio dominio personale una vasta porzione di territorio comprendente Alessandria, Tortona e Novara. Nel 1441 il castello di Frascarolo con le sue pertinenze viene infeudato ad Andrea Birago dal duca Filippo Maria Visconti; alla morte di questi, ultimo discendente senza eredi diretti dei Visconti, la signoria passa agli Sforza. Il paese, data la sua importanza strategica, è ancora una volta teatro di sanguinose guerre per il possesso della zona, a causa delle mire espansionistiche dei duchi di Savoia, che tentano di sottomettere tutta la Lomellina; guerre cui viene posta fine con il trattato stipulato nel 30 agosto 1454 tra i Savoia, marchesi del Monferrato, e gli Sforza, che rimarranno signori del luogo fino al 1535.
Nel frattempo - nel 1512, come ricorda una targa marmorea murata sopra l’ingresso («Anno salutis M. D. XII, Primo Novembris») - il grande castello di Frascarolo viene ricostruito, con le caratteristiche dimensionali che gli si possono riconoscere ancora oggi. L’edificio passa poi in varie mani: numerose infeudazioni, fra i quali si ricordano quelli dei Cairoli e dei Beretta, si susseguono nei secoli successivi finché la proprietà perviene, verso la metà del secolo scorso, ai Vochieri, che la detengono tuttora. Come ricorda un’altra targa posta all’ingresso del castello («Questo castello visconteo nel sec. XV - Sforzesco nel sec. XVI - Baluardo del Ducato di Milano lungo la linea del Po - Fu restaurato dal cav. Giovanni Vochieri - negli anni 1882-’83»), risalgono al 1882 le ultime ristrutturazioni, eseguite per conto dei proprietari dall’architetto vigevanese Luigi Vandone, che opera radicali trasformazioni sulla costruzione la quale, da origini e scopi puramente militari, viene convertita in elegante complesso residenziale, secondo gli stilemi neo-gotici e romantici in voga nell’epoca. Le modifiche apportate dal Vandone all’impianto originario sono di grande impatto scenografico e bene si inseriscono non solo sulle sopravvissute strutture, ma anche in tutto l’ambiente circostante, formando un complesso di buon gusto estetico e di notevole interesse architettonico.
Il Castello ha pianta quadrilatera, con fossato intorno e quattro torrioni cilindrici sporgenti ai quattro angoli. Il tessuto murario mostra evidenti ristrutturazioni ottocentesche che hanno interessato l’intero piano superiore della costruzione, originariamente meno sviluppata in altezza; le torri stesse evidenziano il sopralzo, distinguibile nel terzo superiore dei quattro corpi cilindrici. L’ingresso all’antico maniero è ricavato nel centro del fronte ovest, sovrastato da un massiccio torrione - in forma di rivellino - che supera di un piano l’altezza della cortina muraria. Un ponte in muratura - caratteristica comune alla maggior parte dei castelli lomellini - sostituisce l’antico ponte levatoio, le cui tracce (si vedano le sedi dei bolzoni) sono comunque ricostruite, e attraversa il fossato, trasformato in giardino, conducendo a un semplice portale con arco a tutto sesto, vigilato da due leoni accucciati posti ai suoi lati; sopra l’arco sono visibili la già citata targa marmorea e il biscione viconteo. Da un punto di vista architettonico la caratteristica più rilevante della costruzione, splendidamente conservata, è costituita dalla presenza di una serie ininterrotta di loggette poggianti su beccatelli tra i quali sono interposti balconcini su cui si affacciano finestre - di cui alcune false, frescate sull’intonaco di fondo dei balconcini ciechi, chiusi nella parte alta da archivolti schiacciati - in linea con lo stile ottocentesco che domina l’opera di restauro. Il loggiato è uniformemente distribuito su tre lati dell’edificio; il lato posteriore, rivolto a oriente, in gran parte mancante in seguito alle antiche vicende belliche, è meno elaborato essendo il loggiato presente solo in una piccola porzione della parete che fa capo alla torre sud-est. Interessante è la triplice dentellatura dei torrioni. L’interno è completamente arredato. Il castello di Frascarolo è monumento nazionale fin dal primo decennio del XX secolo.
La nuova Chiesa parrocchiale , costruita nel 1841, è dedicata alla Vergine Assunta e a S. Vitale Martire.
L’Oratorio della Beata Vergine del Romito viene edificato nel 1599 per custodirvi un’immagine miracolosa della Madonna con S. Stefano e S. Bernardo, meta di devozione e pellegrinaggi. L’attuale edificio è stato realizzato nel quarto decennio dell’Ottocento in sostituzione del precedente. Nella prima metà del XVII secolo la chiesa fu affidata ai Frati Francescani Zoccolanti. In seguito il luogo fu presieduto da un “Romito”, un eremita che si prese cura della chiesa; da qui l’appellativo con cui è conosciuto il santuario.
La festa del Santuario si celebra l’8 Settembre e la domenica precedente.
Lasciando Frascarolo in direzione di Pieve del Cairo, dopo non più di un chilometro si può deviare per raggiungere l’Abbazia di Santa Maria di Acqualunga , immersa nel verde di una riserva naturale (la garzaia di Acqualunga), fra boschi di salici ed ontani, abitati da colonie di aironi, garze e nitticore. Non guasta una breve sosta nei giardinetti di fronte alla chiesa per godersi la stessa pace e lo stesso silenzio un po’ mistico che, ora come un tempo, circondano il monastero medievale e la solitaria campagna che lo attornia.
Il complesso abbaziale viene fondato nel 1180 da Ascherio, abate del monastero cistercense di Rivalta Scrivia; la struttura è formata dalla chiesa romanica a tre navate, dal monastero con un chiostro cinquecentesco e dal retrostante cascinale rurale. Nel 1459 vi diventa abate il nobile senese Francesco Todeschini Piccolomini, che nel 1503 viene eletto Papa Pio III. Nel 1530 l’abate di Acqualunga, il nobile pavese Galeazzo Pietra, è nominato primo Vescovo di Vigevano. Da quel momento i destini di Acqualunga sono uniti a quelli della nuova diocesi vigevanese, in quanto, con lettera apostolica del 1 maggio del medesimo anno, il Vescovo procura che il titolo e i beni dell’abbazia siano uniti in perpetuo a quelli del vescovado di Vigevano.
Del periodo medievale si conserva la chiesa abbaziale, che presenta i tipici tratti architettonici dello stile cistercense (chiesa orientata, abside a terminazione piatta). Si segnala la struttura esterna dell’abside, riportata all’originario splendore nel corso di un importante restauro promosso dalla diocesi, compiuto tra il 2005 e il 2009, che ha restituito dignità al prezioso edificio. L’interno presenta una decorazione del XIX secolo in stile gotico fiammeggiante.
Il complesso monastico cistercense non esiste più, o almeno è inglobato parzialmente nel caseggiato padronale costruito nel sec. XVII come residenza estiva dei vescovi e abitazione del fittabile della proprietà. La struttura odierna, privata, fu rimaneggiata nel corso dell’ottocento dai nuovi proprietari, che nel secolo scorso donarono la chiesa alla diocesi e il complesso con la proprietà terriera all’ospedale San Martino di Mede. L’abitazione che fu del parroco giace attualmente diroccata, insieme all’antico mulino, agli imponenti fienili e alle case dei salariati ora abbandonate per il progresso del mondo agricolo, che non ha risparmiato questo lembo senza tempo di Lomellina.
Di rilievo la Sagra dell’Assunta, nel mese di agosto.