Il mais fu introdotto in Italia da Cristoforo Colombo, che lo importò dalle Americhe nel 1500; il suo nome volgare, granoturco, si deve probabilmente al fatto che i primi semi coltivati in italia provenivano dai Balcani. La sua coltivazione diede un notevole impulso all’agricoltura nella nostra zona, sia per l’abbondanza dei raccolti, sia per la facilità di coltivazione anche in terreni non irrigabili, così come avveniva per il frumento e per la segale.
Con la farina di granoturco, di solito mescolata a quella del grano, si incominciò ben presto a produrre anche il pane, che i nostri antenati apprezzarono subito, così come la polenta, altro alimento base di uso quotidiano.
I sistemi per la coltivazione del mais subirono numerose evoluzioni nel corso dei secoli ed in modo particolare durante questi ultimi cinquant’anni.
Le pannocchie mature, che prima dell’introduzione degli ibridi si presentavano molto più piccole di quelle odierne, si coglievano a mano dalla pianta, si caricavano per mezzo di apposite ceste di vimini su un carretto munito di sponde sui quattro lati, e poi si portavano sull’aia, dove si rovesciavano in mucchio. Ultimato il raccolto, si procedeva a scartocciarle, manualmente, lavorando fino a tarda sera, alla luce di una lampada, con la collaborazione di componenti di famiglie amiche alle quali poi si ricambiava l’aiuto o si dava un compenso in natura, che poteva consistere in un certo quantitativo del prodotto stesso.
La trebbiatura, che un tempo si effettuava solo a mano, in seguito venne eseguita mediante una trebbiatrice azionata da un motore a scoppio. Si procedeva infine all’essiccazione solare sull’aia, si insaccava e si portava nel magazzino.
Oggi invece anche il mais si raccoglie con moderne macchine mietitrebbiatrici semoventi, si trasporta con appositi rimorchi agli essiccatoi, quindi si immagazzina sciolto o si vende direttamente, senza più fare uso dei sacchi di tela juta.