Nell’estrema periferia di Vigevano, al fondo della via Santa Casa sorge un piccolo cascinale, oggi circondato e quasi soffocato da recenti costruzioni. Un modesto campaniletto a vela segnala che l’anonimo corpo di casa sporgente è in realtà una piccola chiesa intitolata alla Madonna di Loreto, da cui il nome di “Santa Casa”. Questo luogo di culto si è conservato integro fino ad oggi, quasi nascosto, intatto e custodito dalla pietà dei fedeli. Pochi sanno della sua storia e della presenza, tra le molte memorie, di ben due Ordini religiosi che ebbero regolare convento nelle case annesse.
Lo storico vigevanese Cesare Nubilonio, autore di una cronaca della nostra città fino ai suoi tempi (visse nella seconda metà del sec. XVI), descrivendo la terribile peste del 1524 racconta di un certo frate Domenico, Minore Osservante del convento di Santa Maria delle Grazie, che andò a dire di aver visto apparire la Santa Vergine. Costei pregò il religioso di predicare ai Vigevanesi di erigere una chiesa in onore della Madonna nei terreni che erano stati adoperati per cavare l’argilla per fabbricare i mattoni del castello. I nostri antenati obbedirono e il contagio miracolosamente cessò: fu così eretta una chiesa nelle forme della Santa Casa di Loreto.
Accogliendo la richiesta di alcuni Cappuccini, il Consiglio Generale della città nel 1539 finanziò la costruzione di un piccolo convento affidato a quei religiosi che officiarono la chiesetta fino al 1609, quando si trasferirono nel nuovo convento in regione Battù, presso la chiesa di Santa Maria del Crocefisso.
I frati restaurono la chiesa nel 1553 e ancora nel 1568. Dopo la loro partenza il pio vescovo mons. Pietro Giorgio Odescaschi si propose di riedificare la chiesa dalle fondamenta. Con una solenne cerimonia il Capitolo della Cattedrale con don Filippo d’Austria (“principe del Marocco”) si recò in processione sul luogo il 3 maggio 1613 per la posa della prima pietra.
I lavori non furono molto spediti, finchè avvenne un fatto prodigioso capitato a luglio 1619 e raccontato dal pio vescovo stesso: “lavorando i maestri di muro a Loreto lunedì passato un figliolo d’anni diciotto aiutante era avanti la S. Casa e sedeva in terra mangiando. Si fece avanti uno in abito di cappuccino, non aveva mantello, aveva un poco di barba che tirava al rosso, e disse: fa sapere al tuo Padrone di dire al Vescovo che finisca quanto prima la fabbrica di questa chiesa. E sparì dal lato sinistro della S. Casa”. Mons. Odescalchi fu convinto trattarsi di San Francesco d’Assisi apparso per propiziare la conclusione dei lavori. Conclusa velocemente l’edificazione e costruito con preziose reliquie secondo l’uso del tempo, l’8 settembre dello stesso anno con una solenne processione dalla Cattedrale il vescovo portò in processione la statua lignea che ancora si venera sull’altare, imitante il celebre simulacro lauretano.
L’anno dopo il Venerabile presule morì e il suo cuore fu inumato - secondo il suo volere - in un camino dietro l’altare della chiesetta. Nel 1627 il piccolo convento annesso fu abitato dai frati del Terz’Ordine Regolare di San Francesco che dovettero abbandonare nel 1653 per il decreto di soppressione delle piccole comunità religiose da parte del papa Innocenzo X.
La chiesa fu concessa al Seminario Vescovile insieme alle case e alle ortaglie annesse come rendita: vi si celebrava ogni giorno la S. Messa.
Nel 1805 le soppressioni napoleoniche colpirono i beni del Seminario Vescovile e la chiesa fu messa all’asta con il complesso adiacente che passò a privati. La chiesa fu però preservata e mantenuta per il culto per la pietà dei fedeli, come ancora oggi, e ricorda la presenza dei Francescani in città.
Il testo di questa pagina è stato estratto da due articoli di Don Cesare Silva nella pubblicazione “Aurora della Lomellina” (ottobre 2021).